Cristina: in ogni viaggio fa volontariato nei rifugi per cani in giro per il mondo
Quando non ha più potuto viaggiare con i suoi adorati cani, Cristina ha deciso di dedicare un po’ del suo tempo come volontaria nei rifugi per animali in giro per il mondo. Da Bali all’India, passando per la Giordania, ci racconta le sfide e la gioia di dare e ricevere amore dai “suoi” amici pelosi.
1. In che modo l’amore da e verso i tuoi cani e gli animali in generale ti arricchisce?
Io sono nata in mezzo ai cani. Nella mia famiglia ho sempre avuto cani, i miei nonni avevano cani. Non ho ricordi di una vita senza cani. Sono come le mutande. Puoi immaginare la vita senza mutande? Io no.
Non è che un paio di mutande mi arricchiscano, è che proprio non ci saprei stare.
È uno status quo naturale. Poi rispetto chi invece ama stare senza mutande (perché esistono anche loro), ci mancherebbe.
2. Com’è stato andare in viaggio con loro?
Io viaggio molto per lavoro in Italia e all’estero, e quando vado a lavorare in aziende pet-friendly (ancora troppo poche) i miei cani vengono con me. Li porto con me solo se viaggio in auto e in Italia. Diversamente è troppo complicato per le mie cariatidi e i miei ritmi sono tanto serrati. Io ho un borsone per le mie “ragazze” in cui metto il necessario più “ovvio” (pappe, ciotole) e anche meno: una cuccia stra usata, un copriletto (perché mentre dormo le ragazze ci provano a salire sul letto), una mia vecchia ciabatta, un panno in microfibra e una webcam da pochi soldi in modo che se fossi costretta a lasciarle in camera per qualsiasi motivo (anche se cerco di non farlo) riesco a tenerle sotto controllo.
3. Quali sono le sfide che deve affrontare chi viaggia con i suoi pet?
Devo confessare che in Italia, specialmente in alcune regioni, è ancora difficile trovare un’ospitalità “decente” senza lasciare un rene a ogni soggiorno. Perché io comprendo che dopo un soggiorno con i cani occorra una pulizia più approfondita delle stanze, ma la si farà al check-out: è davvero poco pet-friendly chiedere 25€/gg per un soggiorno in hotel di 2 micro cani che fanno 10kg in 2, o chiedermi di lasciarli in stanza quando vado a fare colazione (con il rischio che facciano danni o disturbino i vicini).
Comunque confesso di aver trovato talvolta (troppe poche volte) delle strutture semplici, ma veramente pet-friendly, e ogni volta ci torniamo con immenso piacere. Che poi anche se non puoi viaggiare con i pet, come spesso mi capita, è una sfida trovare anche il dog sitter giusto, ma questo è un altro discorso: ho una certa esperienza in merito, potrei fare un tutorial per come gestire i casting.
4. Riguardo alla tua esperienza nelle associazioni di volontariato all’estero, puoi dirci quali hai visitato e in quali paesi?
Premetto che non ho mai fatto la “volontaria” in Italia, principalmente per mancanza di tempo. Sono spesso via per lavoro e il poco tempo che resta lo passo volentieri a casa con le persone (e gli animali) a me cari. E quindi anche questa “strana” abitudine, che ormai è diventata una tradizione, è nata per caso.
La mia prima esperienza fu in un rifugio di Bali, e un po’ come tutte le prime volte, mi è rimasta nel cuore.
Era per me un viaggio liberatorio, di 1 mese circa e deciso totalmente giorno per giorno, dopo un anno di lavoro totalizzante che avevo appena lasciato e ancora non sapevo bene cosa mi aspettasse dopo.
Ero a Bali una settimana, e trovai un volantino di questa associazione. Non avevo molti soldi visto il periodo incerto che mi attendeva ma decisi che, visto che il tempo è denaro, e denaro non ne avevo…potevo sempre donare il mio tempo. Così mi presentai da loro e gli dissi: “Oggi sono vostra. Voi mi dite e io faccio”.
E così passai la giornata a lavare cani uno dietro l’altro, a mettere antiparassitari e fare le piccole terapie ai cuccioli in quarantena. E poi c’era una carlina simpaticissima che viveva praticamente gravitando intorno al pentolone dove si cucinavano le pappe. Era buffissima (sì, ho un debole per i carlini).
E in tutto questo gran da fare ovviamente era un tripudio di coccole e giochi. Insomma fu una giornata bellissima, conobbi altri viaggiatori che come me passavano di là a trascorrere un po’ di tempo con questi piccoli invisibili.
Quella fu la mia prima esperienza e decisi che avrei cercato di fare lo stesso in ogni paese che visitavo.
Sono così entrata in contatto con altre realtà in India (Bangalore, Udaipur) e in Giordania dove la mia vita si è in qualche strano modo intrecciata con quella di una minuscola cucciola trovata per strada.
5. Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
Mi è sempre piaciuto viaggiare. Faccio anche un lavoro in cui viaggio tantissmo. Mi piace viaggiare nei luoghi e nelle vite delle persone che incontro, farmi ospitare e ospitare con Couchsurfing (altra invenzione bellissima che supporto da 15 anni ormai). Ogni viaggio lo ricordo con la memoria del cuore, e della pancia (nel bene e nel male).
E credo anche che capire il rapporto di una società con gli animali e l’ambiente circostante faccia parte del viaggiare. Io non risolvo i problemi di nessuno donando una giornata del mio tempo, ma imparo così tanto dalle persone che vivono in questi rifugi.
E parlando con loro scopro spesso un lato diverso, e spesso inusuale, dei luoghi che visito. Magari semplicemente chiacchierando davanti a un chai mentre i cuccioli ti gironzolano intorno o ascoltando le loro storie.
E sai qual è la cosa più bella? Che agli animali non interessa che lingua parli, non ti serve Google Translate con loro. Sono poliglotti e capiscono qualsiasi idioma: è una comunicazione universale, dalla Nuova Zelanda all’Alaska. Vuoi mettere?
6. Quali consigli pratici daresti a chi avesse voglia di fare la tua stessa esperienza?
Mi prende sempre un po’ di tempo trovare una struttura “giusta” con cui entrare in contatto, e per “giusta” intendo realtà serie, dove l’animal welfare è il vero motivo della loro esistenza e senza scopi di lucro. Basta guardare un po’ bene le loro pagine sui social, eventualmente articoli e notizie di eventi e iniziative e scrollare un po’ di storico negli archivi di Google.
Se volete un ambiente un po’ più “internazionale” accertatevi che i loro post siano in inglese, o nella lingua a voi più comoda, controllate le interazioni e le nazionalità dei follower che ci sono sulle rispettive pagine (così avrete meno problemi di comunicazione, e magari conoscerete altri viaggiatori che fanno la vostra stessa esperienza).
Una volta individuata la struttura che mi piace, io di solito scrivo una settimana prima (non troppo prima, altrimenti si dimenticano) per chiedere se posso andare ad aiutarli e come posso rendermi utile.
Talvolta chiedo se posso portare qualcosa che può fare loro comodo e che a me magari costa proprio poco come asciugamani, carta assorbente, ecc.
Ciò che è più ovvio per noi è spesso essenziale per loro.
E poi lanciatevi: molte realtà non mettono i viaggiatori a pulire i kennel, spesso far giocare i cuccioli e coccolarli è un extra time che loro non si possono permettere presi dalle faccende quotidiane, ma per i loro ospiti è un super lusso.
Se poi si ha dimestichezza si può aiutare con medicazioni o recuperi e altre piccole cose che chiunque abbia già un cane a casa sa fare.
7. In che modo hai cercato (e trovato) queste associazioni?
Google e Facebook per la ricerca pre-partenza. Poi magari chiedo ai locali talvolta, ma in paesi con scarsa sensibilità sulla tematica spesso non sanno neanche dell’esistenza di un rifugio a 200 metri da dove abitano.
8. Quali sono le sfide e i problemi principali che devono affrontare quotidianamente?
Ogni realtà è diversa, sebbene la penuria di fondi sia una costante che accomuna tutte queste realtà da una parte all’altra dei continenti.
Spesso il tessuto sociale in cui sono inserite non aiuta.
Nel mio ultimo viaggio in Giordania ho scoperto una realtà durissima per i cani, che in generale non sono benvoluti e non esistono strutture di ricovero.
L’unica l’ho trovata ad Aqaba, dove ho portato una mattina alle 6.30 la piccola cucciola che avevo trovato per strada.
E qui trovo un “rifugio”, che praticamente è una sassaia con dei recinti in mezzo alle montagne gestito da una signora che ospita 450 cani.
In un paese dove è difficile trovare anche solo delle semplici crocchette, e quelle poche che ci sono costano quanto un polmone, c’è una signora che manda avanti tutto nell’indifferenza della comunità locale.
Sono “rifugi” spesso senza acqua corrente né energia elettrica; e dove fare qualsiasi cosa è difficile.
9. In che modo eventuali volontari potrebbero aiutarle concretamente a risolverli?
I volontari come me, che si recano sul posto e donano un po’ del loro tempo, sono un grande aiuto non solo nell’immediato per gli ospiti dei rifugi, ma per l’impatto che questo può avere sulla comunità circostante che di solito è indifferente.
Mi spiego meglio: se i locali capiscono che i turisti hanno una sviluppata sensibilità sull’argomento al punto tale da impiegare del proprio tempo alla causa, questo porta all’innescarsi di un circolo virtuoso di “buoni comportamenti” se non per reale comprensione del tema, anche solo per non fare “brutta figura” con i turisti.
Non sarà il massimo dei risultati, ma cerco di essere molto pragmatica.
Poi se non si ha tempo, come talvolta capita anche a me, basta fare un salto al supermercato e acquistare del riso e delle scatolette di carne e lasciarle in hotel: contattando i rifugi, di solito, questi si offrono di passare a ritirare la spesa presso la reception.
Ho già fatto un paio di volte così e lo stesso degli amici in vacanza in Giordania dopo di me e la signora era felicissima!
Nel mio ultimo viaggio, dove avrei voluto fermarmi un giorno nel rifugio di Aqaba ma non ne avevo il tempo, sono comunque riuscita a passare per una missione rescue last-minute: e così ho deciso di donare il mio tempo a questa realtà, ma da casa mia.
Ho aperto una raccolta fondi per portare in Italia una cucciola paraplegica investita da un’auto e abbandonata sulla strada. Ho deciso che ce la metterò tutta per farla arrivare in Italia e farla curare, e le ho trovato una famiglia speciale che la sta già aspettando.
Certo, le adozioni internazionali non sono la soluzione, ma stavolta ho voluto fare un’eccezione.
E vi assicuro che la raccolta fondi (la prima in vita mia) è praticamente diventata un secondo lavoro.
Per il futuro ho qualche idea già in mente, e mi piacerebbe invece avviare un progetto in Giordania con una vision più profonda nel tempo. Ma intanto penso a far arrivare Bella dal regno degli Hashemiti in Italia, poi si vedrà.