Come si vive con il Nomad Working
Il mio nome è Francesco, ma moltissime persone mi chiamano Wil (con una L sola!).
E’ un soprannome che mi sono autoaffibbiato, e non è l’abbreviazione di nessun altro nome: è in realtà una sigla, il cui significato è un segreto che proteggo gelosamente.
Sono curiosissimo di natura, ho una sete di conoscenza che sembra non possa mai essere placata, e soprattutto ho sempre fatto difficoltà, fin da giovanissimo, ad accettare le cose che mi venivano imposte senza una spiegazione, voglio sempre capire le ragioni di tutto e il “perchè si” o “perchè no” non mi bastano mai. Ho bisogno di capire, ragionarci su, ed eventualmente trovare una via alternativa, possibilmente la mia. Per questo motivo nella mia vita ho esplorato tutti i rami della conoscenza su cui ho fatto in tempo a mettere le mani: scienza, tecnica, arte, sport… tutto iniziato e mai portato a termine, per avere un assaggio di tutto.
Questo particolare lato del mio carattere mi anche ha sempre portato a cercare modi alternativi per risolvere problemi, per affrontare situazioni, e in ultimo, a chiedermi se la vita che stavo conducendo fosse l’unica possibile. La risposta, ovviamente, è stata: “no”.
Mi ero laureato da qualche anno in ingegneria informatica, avevo un lavoro rispettabile e un contratto a tempo indeterminato, una professione molto qualificata, e ovviamente sottopagata. Sembravo inquadrato irrimediabilmente nel paradigma comune “Studia, trovati un lavoro, fatti una famiglia, fai dei figli, metti da parte dei soldi, muori”. Tutti attorno a me sembravano avere tutti la stessa vita, incolonnati verso lo stesso macello, ma io la percepivo come una gabbia sempre più stretta. “Ci deve essere qualcos’altro, al di fuori di questo”, pensavo, e un bel giorno, sono andato a cercarlo.
Potete seguirmi sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/WanderingWil in cui terrò aggiornati sui miei viaggi e in particolare sul prossimo in scandinavia.
1.Cosa è per te il Nomad working? come hai iniziato?
2. Cosa ti ha spinto a partire per il tuoi primo giro del mondo da solo?
Le due cose sono indistinguibili. Era l’agosto 2009, era appena iniziata la crisi economica, ci dicevano ancora che sarebbe durata poco e noi forse ci credevamo anche, quando un bel giorno capisco che qualcosa si è rotto: stavo andando a lavorare, quando ho fermato la macchina e mi sono messo a piangere, senza un motivo. Basta, ho pensato, non ci sono cifre al mondo che valgono una mia singola lacrima.
Rassegnai le dimissioni pochi giorni dopo. Da li al giro del mondo il passo è stato breve: il mio gusto per il viaggiare e l’andare preferibilmente lontano è una conseguenza naturale della mia curiosità; sono sempre stato autonomo nel senso che l’essere solo non mi ha mai spaventato; in banca avevo soldi che non avevo ancora avuto il tempo di spendere, e avevo appena preso una delle decisioni più importanti della mia vita. Scelsi (in realtà seguii l’istinto) di viaggiare per almeno sei mesi, andando contro il “senso comune”, contro le voci di amici e parenti. Mi sentii più solo in quei giorni che in tutti i mesi che sarebbero seguiti a quella irrazionale decisione, ma qualcosa da dentro mi spingeva così forte che non potevo fare altro che obbediere. Solo che non sapevo dove andare, c’erano così tanti che non avevo visto! Allora perchè non vederli tutti? e decisi di fare il giro del mondo per vederne il più possibile.
In Argentina, a circa tre settimane dalla partenza, conobbi il mio primo nomad worker. Non sapevo nemmeno che esistessero persone che facevano questa vita. Era un ragazzo che stava tutte le mattine al computer. Era un programmatore, che lavorava in remoto. Qualche mese più tardi, alla conclusione del giro del mondo, sapevo chiaramente cosa dovevo fare della mia vita (solo questo meriterebbe un bel racconto!), ma mi servivano soldi, ora che il mio conto in banca era svuotato, e libertà. Avendo una professionalità facilmente rivendibile sul web, la via del nomad working che avevo conosciuto in viaggio era lo strumento perfetto. Lo strumento perfetto per avere soldi, tempo, e libertà. Perchè con i soldi, il tempo, e la libertà potevo finalmente iniziare quel grande percorso che ogni uomo o donna degno di tale nome dovrebbe percorrere. Mi ero svegliato, avevo una lunga strada da percorrere, tutta l’intenzione di farlo, e il nomad working era il mio nuovo paio di gambe.
Da quel giorno ho fatto due settimane a Tenerife (il primo esperimento in nomad working), due mesi e mezzo in Sudamerica, un mese a Budapest e due mesi in India. Quest’estate mi appresto a fare tre mesi fino a Capo Nord e ritorno.
3. Cosa ti ha affascinato di più del viaggio in solitaria ?
Le emozioni. L’essere da soli con sè stessi è una compagnia strana e difficile: bisogna essere in grado di parlarsi, di ascoltarsi, di accettarsi. Non è una compagnia che possiamo allontanare quando vogliamo. A volte si litiga, ma bisogna fare pace. A volte non si è d’accordo, ma l’accordo deve essere trovato. Però quando si trova l’equilibrio e la sintonia, le emozioni che si provano sono le più intense che mi sia mai capitato di provare. Lo scorso autunno ho camminato per dieci giorni da casa mia fino a un rifugio sulle alpi. Ogni singolo giorno ho pianto di gioia. Ogni. Singolo. Giorno. In quanto tempo di vita “normale” capita di piangere dieci volte di gioia?
4. Cosa ti spinge di solito verso una destinazione?
La pancia. O l’istinto, chiamalo come vuoi. Di solito c’è una base di curiosità che mi spinge verso posti dove non sono mai stato prima, ma come scegliere tra Messico, o Svezia, o India o che altro? Un giorno, pensando a uno dei paesi “papabili”; sento una stretta alla bocca dello stomaco. Il viaggio comincia quel giorno, perchè non c’è più niente che posso fare per impedirmi di partire.
5. Lavorando mentre viaggi da cosa dipende il tempo che tu scegli di rimanere in un luogo?
La pancia anche in questo caso. Pur essendo una persona molto razionale, seguo l’istinto tutte le volte che questo si fa sentire, ed è una cosa che capita sempre più spesso. Quando mi dice di restare, resto. Quando mi dice di partire, parto. Generalmente comunque questo è associato a quanto mi piace il panorama, le persone che abitano quel luogo e le amicizie che sono riuscito a creare. Io credo che questi siano i punti cardini di ogni luogo: i panorami e le persone, con una spiccata preferenza per i posti poco caotici, piuttosto che le grandi città.
6. Di solito alloggi in ostello, couchsurfing o in appartamento?
Ostello. E’ stata una rivelazione, se pensi che la prima volta che sono entrato in un ostello, timido e poco socievole, avevo 32 anni. Ma l’energia vitale che capita di trovare nella sala comune di un ostello è difficile da trovarsi in altre parti. Trovarsi a parlare contemporaneamente con persone che arrivano da stati diversi è una benedizione che andrebbe cercata. Qualche volta uso anche couchsurfing, ma solo per il “coffee or drink” o per i meeting, visto che portandomi il lavoro appresso, ho bisogno dei miei ritmi e di un po’ di quiete che non troverei facillmente se mi facessi ospitare da qualcuno.
7. Viaggi in maniera lenta, come organizzi la tua giornata mentre viaggi dato che devi anche lavorare?
Cerco di viaggiare lentamente, per assaporare il viaggio, ma senza esagerare troppo. In Patagonia sono andato in autobus, per esempio, per avere il tempo di “annoiarmi”, di percepire il senso della distanza, per aumentare il senso di attesa, per godere maggiormente all’arrivo alla mia destinazione, ma sono tornato indietro con un aereo! Le mie giornate sono semplici: visto che lavoro part time (20 ore a settimana, e guadagno tanto quanto un programmatore italiano medio guadagna in 8 ore) mi sveglio, lavoro quattro ore, mangio, il pomeriggio lo dedico ad attività leggere e alla sera esco cercando di non esagerare. Ma se esagero, al massimo recupero il giorno successivo lavorando nel pomeriggio.Oppure se sono bravo, lavoro tutto un giorno per essere libero quello successivo. Insomma, venti ore di lavoro alla settimana sono facili da infilare dove si vuole, anche durante un viaggio in aereo o autobus. La cosa più difficile è mantenere la disciplina quando tutti attorno a te hanno solo voglia di divertirsi. Ma è un prezzo che pago volentieri.
8. La persona incontrata in viaggio con cui hai stretto il legame più intenso?
Ci sono tantissime persone con cui ho legato. Potrei nominare una ragazza cilena di cui mi stavo quasi innamorando, un ragazzo neozelandese con cui ho viaggiato per settimane, un indiano sulla via dell’illuminazione, o una coppia australiana che mi ha indicato la via verso il mio destino, ma sarei veramente insincero se non ti dicessi che l’incontro più importante che faccio ad ogni singolo viaggio è sempre quello con me stesso, perchè ogni volta scopro qualcosa che non sapevo. Lo so che sembrerò egocentrico, e forse lo sono anche, ma sono fermamente convinto che volersi bene sia la base per la storia d’amore più lunga di tutta la vita.
9. Come gestisci il fatto che mentre tu viaggi la vita delle persone che sono a casa va avanti senza di te?
Non lo gestisco. Quanto torno io ho vissuto dieci volte più intensamente e velocemente di chi è rimasto a casa, e al mio ritorno di solito non è mai cambiato niente di importante.
10. Il ritorno per te é…
Il ritorno è una pausa. Quando sono tornato dal giro del mondo, mi ero reso conto che la mia vita era cambiata per sempre, e ancora in aeroporto dissi queste esatte parole: “Il giro del mondo non finirà mai, il giro del mondo diventa oggi il mio stile di vita”. Per cui è come se io non smettessi mai veramente di viaggiare. Quando sono a casa sto solo recuperando le energie per ripartire, mi annoio quel tanto che basta per tornare a godere appieno del prossimo viaggio.