Flavio, viaggiare da soli in Africa: backpacking via terra
Mi chiamo Flavio Alagia e mi sono laureato in giornalismo pieno di belle speranze che si sono rapidamente infrante contro il criptico mondo della carta stampata. Dopo qualche anno nei quotidiani locali ho trovato la possibilità di lavorare temporaneamente per una rivista a Città del Capo edita da un’organizzazione non governativa. Terminato il mio incarico mi sono messo in marcia per tornare a casa: Sud Africa, Botswana, Zimbabwe, Zambia, Malawi, Tanzania, entrambi i Sudan e infine Egitto, sempre senza mai volare. Ora scrivo su NonSoloTuristi.it dove,
tra le altre cose, racconto anche di come viaggiare da soli in Africa.
1. Cosa ha fatto saltare la molla nella tua testa da spingerti ad attraversare tutta l’Africa on the road?
La risposta brillante è che sapevo che il mio incarico a Città del Capo non sarebbe durato a lungo e volevo approfittarne per fare un’esperienza indimenticabile. Non mi stanco mai di attraversare nuovi Paesi, e farlo
via terra è l’unico modo per entrare veramente a contatto con la cultura della popolazione locale. L‘Africa è ancora oggi un continente ricco di fascino e speravo che questa esperienza mi sarebbe tornata utile come biglietto da visita per i miei futuri progetti nel mondo del giornalismo. L’altra risposta, altrettanto veritiera, è che odio volare.
Non è paura, più che altro un sano attaccamento alla vita perché, come tutti ben sanno, volare è pericolosissimo.
2. Si pensa sempre che una destinazione come l’Africa sia pericolosa se fatta in solitaria, tu come l’hai trovata? Come ti sei mosso?
In queste circostanze la mia incoscenza mi ha sempre aiutato molto. Comunque l’Africa non è pericolosa come molti pensano: se eviti le guerre civili, i campi minati, la malaria e non ti fai sbranare dalla fauna selvatica, è un continente molto ospitale e la gente è sempre pronta ad aiutare il buffo viandante straniero dall’aria persa. C’è da considerare però il livello di criminalità: in Sud Africa è molto alto e non è consigliabile girare da soli la sera, ma negli altri Paesi da me attraversati è rasente lo zero.
3. Quale è stato il punto più difficile da raggiungere?
Senza dubbio Khartoum. Ero a Juba, capitale del neonato stato del Sudan del Sud, e le piogge avevano reso inservibili le strade verso nord. Mi sono dovuto imbarcare su una piattaforma galleggiante per il trasporto
merci, senza una cabina né un letto, totalmente in balia delle zanzare portatrici di malaria e della polizia corrotta che saliva regolarmente a bordo a pretendere un “contributo per la rivoluzione”. Un viaggio sul Nilo Azzurro durato dodici giorni, ma durante il quale ho conosciuto molte persone incredibilmente generose, soprattutto somali che fuggivano
dalla carestia nel loro Paese, che mi hanno aiutato moltissimo.
4. C’è stato un momento in cui pensavi di non farcela?
No. Mangio di tutto, dormo in qualunque condizione, sopporto bene sia il caldo che il freddo, sono sempre gentile con le persone che incontro e mi schiaccio facilmente negli autobus sovraffollati. Cosa avrebbe potuto fermarmi? Ok, a dire il vero volevo tornare in Italia in nave, ma una volta ad Alessandria ho scoperto che tutti i collegamenti con
l’Europa erano stati interrotti a causa della Primavera Araba. Ero stanco, così dopo qualche tentativo con navi merci e un paio di assurde idee sull’attraversamento della Libia in piena guerra civile sono tornato al Cairo da dove ho preso un aereo. Sono un fallito…
5. Cosa insegna a livello umano percorre tutta l’Africa on the road?
Perché? Dovrebbe insegnare qualcosa? Non basta averlo fatto?
6. Quale è stato l’incontro che porterai sempre dentro di te?
Mentre risalivo il Nilo da un Sudan all’altro ho conosciuto Ahmed. Somalo, trapiantato in Kenya, ha due mogli con cui convive amabilmente. Una è un’insegnante e lo stimola intelettualmente, l’altra è un’ottima massaia con un gran cuore. Ha dodici figli di cui quattro femmine. Quando i parenti hanno voluto che le sottoponesse all’infibulazione lui
si è opposto. “Le mie figlie decideranno cosa fare con i loro corpi quando saranno grandi”, mi ha detto. Da giovane guidava i camion carichi di mirah – una pianta dagli effetti simili alla cocaina usata dai soldati dei conflitti africani – dal Kenya alla Somalia, sotto i colpi dei banditi che lo volevano derubare. Senza di lui quel tratto di viaggio sarebbe stato almeno due volte più difficile.
7. Di solito dove alloggiavi? Avevi una tenda o chiedevi ospitalità?
Sono un pessimo campeggiatore, inoltre non penso che avrei posto per una tenda nello zaino. Nella maggior parte dei casi finivo nell’albergo più economico che trovavo. Il Sud Africa è pieno di ottimi ostelli pieni di gente folle sempre intenta a fare festa. In Botswana sono stato ospite di una comunità San che mi ha offerta una tenda ai margini del
Kalahari (un freddo di notte…), mentre un’altra volta, in Egitto, ero finito a Esna e non trovando alcun albergo alla fine mi è stata offerta ospitalità da un ragazzo molto gentile che abitava con la moglie e l’anziana madre.
8. Che caratteristiche deve avere una persona che sceglie di viaggiare da soli in Africa on the road?
La parola d’ordine è una sola: adattabilità. Penso che chiunque possa farlo, a patto che si prepari a mangiare, dormire e viaggiare in qualunque condizione.
9. Un errore che tornando in dietro non rifaresti.
Probabilmente non cambierei il mio denaro al mercato nero appena varcato il confine di un Paese senza prima essermi informato su quale sia la valuta locale e il suo valore in rapporto con il dollaro.
10. Come cambia il concetto di tempo in Africa?
Una volta, in Sud Africa, stavo facendo un’escursione da solo in un’area rurale. Naturalmente mi sono perso, e mi sono avvicinato a un villaggio per chiedere indicazioni. Un ragazzino mi ha spiegato come tornare indietro e io gli ho chiesto quanto ci avrei messo. “Un’ora? Due?” Non sapeva di cosa stessi parlando. “Prima o dopo il tramonto?” Prima.