Giuliano Pugolotti: Corre la maratona estrema nel deserto, in solitaria.
1.Come mai hai deciso di correre maratone estreme, cosa è scattato dentro di te?
2. Hai svolto diverse maratone in linea no stop come quella in Algeria di 270 km, cosa vuol dire esattamente? Non dormi mai per giorni?
Ho ben presente il concetto delle gare Non Stop, visto che l’ultima l’ho corsa 3 settimane fa in Marocco. In quel tipo di corsa in pratica non ti fermi mai, neanche per dormire. L’ultima appunto, di 188 km in linea l’ho completa in 35 ore e pochi minuti, quindi ho saltato il sonno di una notte. L’Algeria nello specifico, fu una gara a sé completamente pazza in cui si persero diversi concorrenti durante la notte. L’organizzazione non mi era piaciuta ed aveva complicato molto quello che di prassi è già molto difficile. A ciò va aggiunto che l’Algeria è un Paese molto particolare dove tutto è difficilissimo a causa della loro situazione politica.
3. Correre nel deserto è sicuramente più difficile, ma quale è il lato unico e “positivo” di questa disciplina?
Correre nei deserti per me è un modo di vivere. E’ uno stato mentale. E’ una cosa che ti entra dentro e non riesci a spiegare con un solo aggettivo o con un semplice termine. Più semplicemente è parte della mia vita. Finita la corsa ogni volta devo prendermi qualche ora di calma per riordinare nella mia mente tutte le cose nella direzione della quotidianità. Ogni volta mi dico, eccoci ritornati sulla terra!
4. Dici che il Gobi è il deserto più difficile perchè?
L’area che ho attraversato è il Taklamakanche nella lingua locale significa – se entri in questo deserto non esci piu’-
E’ un posto tremendo, ostile e difficile da attraversare. Ci sono venti fortissimi che scendono dagli 8000 metri del Karakorum e tagliano le pianure mettendoti in seria difficoltà. In un giorno sono letteralmente volato via 7 volte. Ricordo che ero ammaccato dentro e fuori. I lividi sul corpo non fanno paura, ma quelli della mente devono essere assorbiti nel modo giusto. La gara in quel luogo si svolge in altitudine tra i 3000 ed i 4000 metri. Fatichi tantissimo ed il fisico non recupera mai. Poi la temperatura è abbastanza elevata – circa 42 gradi – ed il tasso di umidità è anch’esso molto alto. Di quel deserto ho un ricordo davvero molto forte.
5. L’emozione più grande in che deserto l’hai avuta e perchè? Una sola?
Troppo poco.! Le tante tempeste di sabbia, che ho dovuto superare sono state motivo di grandi emozioni. L’ultima che ho affrontato in Marocco dove per la prima volta l’organizzazione
ha deciso di bloccare la gara è stata tremenda. Ventiquattro ore di tempesta di sabbia e vento così forte da azzerare tutto; tranne la mia convinzione di uscirne. Lì, il deserto
prova ad annullare tutte le tue certezze. Chi sei, cosa fai, da dove vieni, non contano nulla. Il deserto si infila dentro ogni tua debolezza fisica e mentale e ti annulla. Il mostro di sabbia, così come
l’ho definito, fa paura quando lo guardi negli occhi da vicino. Ecco, il riuscire a domarlo, probabilmente è la più grande emozione.
6. Come vivi il rapporto con te stesso mentre corri nella sabbia?
Trascorro spesso intere giornate da solo senza vedere nessuno. Solo io, sabbia, sole e cielo. Nient’altro. A volte mi sento un naufrago nel senso che non ho nessun riferimento a parte il mio gps che indica una direzione. In quel momento io sono il centro di me stesso e trovo dentro di me tutte le risorse per vivere in un nuovo equilibrio. Ho avuto purtroppo tante disavventure in queste 15 gare ma non ho mai perso per un solo istante fiducia in me e non sono mai stato sopraffatto dalla paura. Penso che l’uomo ha tante risorse dentro di sé, completamente inutilizzate. Nelle gare estreme capisci la forza incredibile di cui ci ha dotato la natura.
7. Nelle maratone a tappe riesci a vivere in qualche modo il rapporto con gli abitanti del luogo?
Sì assolutamente. Io cerco sempre il contatto con gli abitanti dei luoghi anche se il problema principale è la lingua. Sono stato giorni con i Tuareg, ho incontrato popolazioni nomadi. Sono momenti bellissimi ed emozionanti. Ho imparato tantissimo dai nomadi dei deserti. Mi hanno trasmesso il concetto della sicurezza e della fiducia in sé stessi. Più in generale a non avere paura della vita.
8. Che caratteristiche personali deve avere un maratoneta del deserto?
La tenacia e l’equilibrio mentale sono secondo me le doti principali.
9. Si dice che in una maratona cittadina il pubblico ti dia la spinta ad andare avanti, nel deserto dove trovi la spinta?
Nel deserto ogni cosa parte da te. Non c’è niente e nessuno che ti possa dare una mano. Devi trovare dentro di te tutti gli stimoli, la voglia ed il desiderio di fare. Come ho detto più volte: non sarai mai un maratoneta del deserto se non diventi parte di quel luogo. Ti deve piacere il caldo – 50 gradi -ti deve piacere la fatica, il sole, la sabbia, il vento. Non è facile avere questa mutazione. Io l’ho imparato ed ogni volta che entro in un deserto lascio fuori, come sulla soglia di casa ogni cosa, per diventare parte del luogo.
10. Come hai “tradotto” quello che hai imparato correndo nei deserti nella tua vita di tutti i giorni?
Il deserto ti infonde molta fiducia ed equilibrio. In quei luoghi combatti contro la natura che è sempre un avversario leale. Nella vita di tutti i giorni, ti rapporti invece ad altre persone. La lealtà è una cosa che ricerchi, ma non sempre trovi.