Holi, la festa dei colori in Nepal
[box style=’nota’] Qualche settimana fa avevo pubblicato un racconto di Andrea in un trekking in Nepal, poi ho iniziato a seguire il suo blog http://kathmandiario.blogspot.it/ è un ragazzo torinese che vive in Nepal e scrive benissimo, lo sto convincendo a scrivere un libro, chissà se mi ascolterà. Così seguo la sua vita asiatica e qualche giorno fa c’è stata la festa dei colori, una delle manifestazioni che assolutamente vorrei vedere live. Il suo racconto mi è piaciuto un sacco, come sempre, e ho deciso di pubblicarne un estratto. Chi viene con me in Nepal il prossimo anno?[/box]
HOLI: LA FESTA DEI COLORI
Holi è la festa induista che celebra l’arrivo della primavera ed è comunemente conosciuta come “la festa dei colori”. Viene osservata principalmente in India e Nepal, ma anche in Pakistan e in Bangladesh, così come in altri paesi del mondo in cui sono presenti comunità di induisti, quali ad esempio il Sud Africa, la Malesia, il Suriname o le Fiji.
Holi si celebra alla fine della stagione invernale, nel giorno di luna piena del mese di Falgun. Sebbene affondi le proprie radici nella mitologia induista, Holi ha caratteristiche simili al carnevale occidentale e il tratto maggiormente distintivo è il clima di euforia che invade le comunità: in Nepal è festa nazionale, le divisioni sociali si attenuano e giovani, anziani, donne e uomini di ogni casta scendono in strada dipingendosi il viso e lanciandosi acqua e colori. È la vittoria del bene sul male, della tiepida primavera sul freddo inverno, l’apoteosi della gioia e del divertimento.
È anche uno dei momenti che più attendo da quando sono arrivato in Nepal e non mi faccio cogliere impreparato…
L’ODORE DEL NEPAL AL MATTINO…
Dieci di mattina. Monitoro la situazione dal terrazzo. Nel cortile della casa accanto un gruppo di ventenni si lancia secchiate colorate, cimentandosi in inseguimenti con pistole ad acqua. Sul tetto della casa di fronte vedo un gruppetto di bimbi impegnato nel lancio di gavettoni. La strada è quasi deserta, fatta eccezione per piccole gang di ragazzini colorati e pitturati dalla testa ai piedi.
Ho comprato ieri le polveri colorate, ma ho commesso un grave errore: i palloncini sono troppo piccoli. Devo rimediare. Esco di casa e cammino rasente ai muri, guardandomi le spalle e cercando di individuare giovani pestiferi attentatori. Raggiungo incolume il minimarket, faccio rifornimento e torno a casa. La prima missione è compiuta.
I PREPARATIVI E LA PRIMA BATTAGLIA
Il terrazzo si trasforma in laboratorio, una piccola fabbrica con la sua catena di montaggio. Qualcuno versa le polveri colorate nei palloncini, qualcuno li riempie d’acqua, qualcuno si occupa dei nodi. C’è chi si incarica di realizzare foto e video e chi monitora la situazione del quartiere dai punti di vedetta.
Improvvisamente veniamo attaccati! Un gavettone piomba sul pavimento dal nulla. Ci guardiamo intorno e scorgiamo solo una donna che lava i panni nella terrazza accanto. La signora intuisce che sta per accadere qualcosa, alza le mani e si dilegua. Individuiamo il contingente nemico nel vicolo di fronte alla casa, un gruppo di tre ragazzi armati di secchio e munizioni ad acqua. La rappresaglia è immediata e in pochi minuti facciamo fuori quasi tutti i gavettoni che avevamo preparato, cercando di ripararci dall’acqua nemica dietro il pannello solare e il muretto di cinta. Sopraffatto dalla nostra posizione strategica e dalla superiorità balistica, il temibile squadrone avversario batte in ritirata. La prima battaglia è vinta.
IN AVANSCOPERTA
Siamo pronti. Sette bottiglie e qualche decina di gavettoni ripieni d’acqua verde, fucsia, gialla, celeste. Ci vestiamo leggeri, lasciando a casa soldi e cellulari, e ciò significa che non potremo chiamare i rinforzi. Proteggiamo le macchine foto con delle buste di plastica trasparente e varchiamo il cancello di casa.
Ci disponiamo in fila indiana, io guido la squadra posizionandomi in testa. In pochi minuti incrociamo le prime linee dello schieramento nemico. Un nugolo di ragazzine è posizionato a ore 2, armato fino ai denti con secchielli d’acqua. Manteniamo un basso profilo e optiamo per la non belligeranza, ma veniamo attaccati alle spalle e siamo costretti a rispondere con dei lanci di copertura. Superiamo un check point di ragazzi che augurandoci “Happy Holi!” ci ricoprono il viso con polveri arcobaleno. Percorriamo un centinaio di metri e veniamo attaccati a ore 9: blocchiamo la via al passaggio delle macchine e ingaggiamo un fitto scambio di gavettoni, facendo ritirare il plotone avversario all’interno di un cortile. Proprio mentre pensavamo di aver scampato l’ennesimo agguato, piovono secchiate dall’alto, scagliate dagli operai di una casa in costruzione. Acceleriamo il passo e proseguiamo lungo la nostra strada.
IL PARTY IBIZENCO
Il vicolo si apre in uno spiazzo affollato di gente, la situazione non promette affatto bene. Sentiamo della musica in direzione sud e ci infiliamo in una stradina per capire di cosa si tratta. Rimaniamo a bocca aperta. Nel cortile di una palestra è stata montata una struttura di metallo da cui fuoriescono continui getti d’acqua. La gente balla completamente zuppa al ritmo della musica del dj, mentre le telecamere riprendono la festa e i loghi dello sponsor Fanta campeggiano in ogni angolo. Ci intrufoliamo all’interno facendoci largo in una fiumana di persone e tra schizzi e zampilli ci abbandoniamo a danze sfrenate. Tre guardie in divisa controllano l’evolversi della festa, affinché la situazione non degeneri, ma anche loro sono totalmente inzaccherate. Incredibile, non ci saremmo aspettati nulla di simile: più che in Nepal, sembra di essere a Ibiza.
Distratti dall’ambiente festoso commettiamo un errore da dilettanti, lasciando incustodite le nostre munizioni: in pochi minuti alcuni bambini ce le sottraggono dimezzando il nostro equipaggiamento. Riceviamo numerose benedizioni da uno stuolo di donne avvolte nei sari color porpora e da un gruppo di uomini dalle facce variopinte.
Abbandoniamo la festa e ci rimettiamo in cammino.
I VICOLI DI “KABUL”
Superiamo lo stradone che delimita il quartiere di Sanepa e ci infiliamo in un vicolo a est, quello che percorro ogni mattina per raggiungere Patan e il centro disabili. La visuale è ampia e procediamo con passo svelto, fino a quando non raggiungiamo il successivo incrocio. Qui iniziano le case del borgo medievale e la stradina si fa stretta e buia. Brutti presagi all’orizzonte. Pochi passi e ci rendiamo conto del guaio nel quale ci siamo cacciati. Da Ibiza a Kabul in meno di un chilometro: di fronte a noi sono schierate frotte di piccoli guerriglieri armati di gavettoni che nel migliore dei casi contengono acqua e fanghiglia; dai balconi piovono secchiate senza sosta, che le donne di casa prontamente ricaricano per non lasciare le figlie sguarnite di munizioni; un signore attraversa il vicolo con fare innocuo, ma fa il giro dietro di noi, recupera un secchio e ci attacca alle spalle. Siamo circondati, è l’inferno. I bambini scagliano i gavettoni con una tale forza che se lanciassero pietre farebbero meno male. Donne e anziani se la ridono alla vista di questi strani individui dalla pelle bianca bersagliati come birilli da figli, figlie, nipoti e mariti. Siamo a corto di palloncini e le bottiglie sono quasi scariche. Ci difendiamo come meglio possiamo, ma siamo costretti a battere in ritirata leccandoci le ferite.
DURBAR SQUARE PATAN
Raggiungiamo Durbar Square di Patan, una delle tre piazze più belle e importanti del Nepal, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1979 e sede dell’antico palazzo reale, di monumenti buddhisti e di magnifici templi induisti. L’intera area è in fermento. Scendiamo immediatamente nel Manga Hiti, una vasca interrata con la pianta a croce e tre bellissimi makara, coccodrilli mitologici dalla cui bocca fuoriesce l’acqua: quello che normalmente è un luogo utilizzato dai nepalesi per lavarsi e per ricaricare le taniche, oggi diventa una fonte miracolosa dalla quale attingere il prezioso liquido per le munizioni. Trovarsi lì sotto significa diventare bersagli facili, come cerbiatti che si abbeverano alla pozza, circondati da branchi di predatori pronti a sferrare l’attacco. Veniamo ripetutamente colpiti ma resistiamo stoicamente ricaricando le bottiglie; i bambini riempiono piccoli sacchetti di plastica trasparente, i palloncini qui sono inutilizzabili. Fuggiamo dalla vasca e prendiamo posizione in piazza. Tanti nepalesi fanno gli onori di casa augurandoci “Happy Holi!” e utilizzando i nostri visi come tele di un quadro astratto. Cullandoci nel sole cerchiamo un po’ di calore che possa asciugare i nostri vestiti bagnati e ci soffermiamo a osservare la piazza, brulicante di gente e vibrante di colori: è uno spettacolo favoloso. Veniamo sporadicamente attaccati e rispondiamo con brevi getti d’acqua.
LA CONQUISTA DEL TERRITORIO
Siamo seduti sui gradoni del Tempio di Vishwanatha, una struttura risalente al 1627 e dedicata al culto di Shiva: due elefanti di pietra sorvegliano l’entrata e sugli ornamenti del tetto risaltano gli intagli di stampo erotico. È giunta l’ora di marcare il territorio. Vengo colpito alle spalle dal gavettone di un ragazzino. Mi giro placidamente e stabiliamo un contatto visivo. Io guardo lui, lui guarda me. Sulla piazza cala il silenzio, la tensione è palpabile. Parto all’inseguimento e la folla esplode in un boato. La piccola peste è veloce e scappa agilmente nei vicoletti intorno alla piazza, io lo rincorro senza mai perderlo di vista e superando gli ostacoli con balzi felini. La distanza tra noi si fa sempre più breve, il moccioso è spacciato: quando lo raggiungo non provo pietà e svuoto mezza bottiglia fucsia sul povero malcapitato. Faccio ritorno alla nostra postazione e attendo il prossimo impavido avversario. La minaccia non si fa attendere e veniamo attaccati altre quatto o cinque volte. Un gruppo di giovani in superiorità numerica ci bersaglia da lontano con una pioggia di gavettoni. Al primo momento di distrazione io e Simone afferriamo quattro bottiglie e partiamo al contrattacco: prendiamo posizione a ore 3, aggiriamo il tempio di Krishna e furtivi come dei ninja li cogliamo di sorpresa lavandoli tutti dal primo all’ultimo. Quasi trent’anni e non sentirli. Due turisti giapponesi si avvicinano e mi regalano delle polveri colorate in segno di rispetto per le mie eroiche gesta in combattimento. La gerarchia è stabilita, il territorio è nostro.
FOTO, PALLONCINI E COLORI
Nessuno ci lancia più gavettoni e i bambini si avvicinano per giocare con noi. Riempio loro bottiglie e sacchetti con i colori che mi sono avanzati. Le mamme mi porgono la manina aperta dei loro bimbi più piccoli, pronta a ricevere la benedizione dei pigmenti. Estraggo dalla borsa un pacchetto di palloncini e i bimbi mi avvolgono come le api su un alveare. Distribuisco colori e palloncini a decine di ragazzini, ma anche ai nonni accorsi al posto dei nipotini più piccoli. Riceviamo continue benedizioni, facciamo foto di gruppo con nepalesi e turisti, il clima è fantastico, l’entusiasmo è alle stelle.
Nel pomeriggio la piazza si svuota e anche noi ci incamminiamo verso casa. Riattraversiamo “Kabul”, non senza difficoltà, e ci imbattiamo in un mini teknival di nepalesi ubriachi che ballano, si strattonano e si rotolano nel fango. Raggiungiamo il nostro quartier generale, scattiamo qualche foto ricordo e ci godiamo il tramonto che si appresta serafico ad avvolgere la valle.
EPILOGO
È stata una giornata meravigliosa. Non so che immagine abbiate voi del cosiddetto “Terzo Mondo”. Io ho negli occhi gli sguardi estasiati di migliaia di ragazzini, i sorrisi dei genitori, il divertimento dei loro nonni. Bambini di tutte le età che per un giorno dimenticano i blackout, la povertà, il traffico, lo smog, la scuola, le macerie, il lavoro precario o inesistente. Persone che avrebbero ogni diritto di lamentarsi, di essere tristi, di cattivo umore, che potrebbero ribellarsi e tramutare il proprio malessere in violenza. Individui che potrebbero far esplodere la propria rabbia con prepotenza e che invece… giocano! Si rincorrono, si bagnano, sorridono e si benedicono in un turbinio di allegria e colori. Mani e volti dalle tonalità lucenti, cuori aperti e raggianti, nuvole di polveri arcobaleno che si dissolvono nell’aria.
Crescendo abbandoniamo l’età dell’infanzia, aumentano le responsabilità, si diventa adulti e, di conseguenza, persone serie (o seriose). Eppure gente semplice di un paese come il Nepal, una tra le nazioni più povere al mondo, ci insegna che qualcosa stona, è fuori posto: abbiamo perso il senso del gioco e della spensieratezza! Non occorre entrare negli uffici di Google per comprendere che creatività è divertimento, gioia, passione. Giocare significa ritornare bambini, dare forma ed espressione al nostro io più profondo, lasciarsi andare, imparando a non prendersi troppo sul serio. Se potessi emanare una legge istituirei una giornata al mese di gioco obbligatorio per tutti, da 0 a 99 anni. Nascondino, palla avvelenata, i quattro cantoni, la festa dei colori. Se fossimo impegnati a preparare gavettoni, forse, non avremmo più tempo per sganciare bombe e sparare proiettili veri.
“Mi ci vollero 4 anni per dipingere come Raffaello, mi ci volle una vita per dipingere come un bambino.” Pablo Picasso