Il turismo di massa ha ucciso il viaggio?
A seguito della pubblicazione del post Cosa ti rende un viaggiatore la mia amica Margherita, un’antropologa sociale che ha girato circa 153 paesi, che oltre ad essere una persona alla quale voglio molto bene e anche una delle poche persone che stimo, mi ha mandato un commento talmente interessante che ho deciso di dedicarlgli un post.
Ma soprattutto, come siamo passati dall’Odissea al Turismo di Massa?
Turismo. Ovvero la pratica moderna del viaggio. Una delle modalità di interscambio ed esperienza interculturale della nostra era.
Ben lontani dal vissuto del protagonista del romanzo di “Joseph Conrad”, “Cuore di Tenebra”, dove il dramma dell’uomo si unisce all’ambiente circostante, scuro, spaventoso, impenetrabile; tutti noi ( e dico tutti), ci muoviamo dalle nostre case in base a un quadro fatto di immaginari precodificati.
Oggi, a differenza del passato, nessuno si reca in un luogo del tutto sconosciuto.
Quando scegliamo la meta del nostro viaggio, o della nostra vacanza, lo facciamo sulla base di immagini, filmati, letture, racconti già acquisiti. Decidiamo di andare in un posto perché siamo attratti dai suoi “landmarks“, perché ci sono già familiari; perché è come se, quel luogo, in un certo senso già lo conoscessimo.
Non esistono immagini di paesaggi o di popolazioni che non siano già entrate nella nostra vita.
La sempre maggiore pervasività dei media ha permesso ad ogni angolo di mondo di entrare nelle nostre case.
Poi, il Marketing Turistico ha fatto il resto, presentandocelo con approcci e tagli diversi, spesso spettacolarizzati e comunque adattati ai gusti degli utenti.
Ne deriva che il concetto di “viaggio”, così come viene inteso secondo l’accezione del passato, ovvero quel fenomeno legato alle scoperte scientifiche, ai viaggi di esplorazione, ai pellegrinaggi religiosi o ai viaggi d’avventura; finisce per diventare, oggi, sempre più un “viaggio di verifica”.
Il “Grand Tour”, il lungo viaggio che aveva come meta soprattutto l’Italia, ebbe inizio nel XVII secolo.
Giovani appartenenti all’aristocrazia di tutta Europa trascorrevano il loro tempo (mesi, a volte anni) facendo giri turistici e compere, conoscendo così la storia, l’arte e la cultura del nostro paese.
Proprio in quel momento assistiamo alla nascita della pratica turistica. Dapprima appannaggio solo dei ceti abbienti, delle élite, poi allargatasi ai vari strati della società, fino a diventare fenomeno di massa. Oggi.
Io sono antropologa di professione, lo sai.
Ma il mio approccio sul campo non può essere neppure minimamente paragonabile a quello di coloro che ci hanno iniziato in questa disciplina e che hanno inventato la ricerca “on the field“.
Penso ai nomi che hanno dato la svolta all’antropologia moderna, Malianowski, Radcliffe-Brown. O al piu noto e popolare Calud Lèvi-Strauss.
Quando, agli inizi del novecento, si recarono per la prima volta, rispettivamente alle isole Trobriand, in Melanesia; alle isole Andamane, in India; o in Amazzonia; costoro, non avevano la benché minima idea di cosa stessero parlando.
Io oggi lo so! Prima di partire per un viaggio di lavoro faccio ricerche su internet, con la letteratura che ho a disposizione. A volte ampia, a volte meno. Ma pur sempre con qualcosa.
So bene a cosa vado incontro recandomi in missione in Mongolia o in Papua Nuova Guinea; se vado dagli aborigeni in Australia o presso qualsivoglia tribù in Africa.
Da questo punto di vista, si può largamente affermare che i tempi eroici dell’antorpologia sono finiti!
Di popoli da studiare e luoghi sconosciuti ce ne sono sempre meno o quasi più. E in realtà io potrei diventare tranquillamente un cyber-antropologo e starmene comodamente a casa a studiare i miei “vicini”!
[Mai!! E a dire il vero oggi ci sono altre problematiche (anche) legate alla globalizzazione, ai diritti umani..il campo è vastissimo..]
Ho utilizzato il mio lavoro come metafora perché credo calzi perfettamente con quello che voglio dire qui.
E cioè, che siamo tutti un po’ vittime della performance turistica.
E anche chi si illude di non esserlo, partecipa inconsapevolmente a tale “rappresentazione”; e vorrei che rifletteste sul ruolo che il marketing turistico ricopre nel dar vita ad immaginari, sia geografici che antropologici, e che sono condivisi a livello globale.
E io mi arrabbio moltissimo perché i suddetti immaginari, spesso e volentieri, sono fatti di semplificazioni, banalizzazioni, stereotipi, falsi miti, leggende metropolitane; eppure, inevitabilmente condizionano ed influenzano i gusti e i comportamenti dei turisti in viaggio.
E, credetemi, siamo tutti vittime di questo fenomeno. Nessuno escluso. Spesso non ci rendiamo conto che le stesse popolazioni locali finiscono per “rappresentare” se stesse come i turisti le pensano, e producono oggetti che i turisti amano di piu. Perché presagiscono in questo un ritorno economico.
E noi, compriamo i souvenir o fotografiamo le danze tipiche messe in scena apposta per noi, illudendoci di aver appena avuto un’esperienza autentica da condividere su Facebook.
Ora, che tale performance nasca comunque da una pratica esistente, questo è ovvio. I Dogon danzavano anche senza turisti; i Toraja celebravano i loro funerali in forma rituale e i Tuareg scorrazzavano già per il Sahara, questo è anche vero.
Ma, posso fare un esempio con un pease che ho la presunzione di conoscere abbastanza bene?!
Parlando di cibo, in Thailandia, le guide turistiche di tutto il mondo hanno reso famoso il “pad thai“, che viene descritto come il piatto nazionale, un must-eat!!
Nei luoghi e nei ristoranti più frequentati dai turisti troveremo una vasta offerta di pad thai, propinato in tutte le salse, nella sua versione al pollo, ai gamberi, al manzo o vegetariano.
Non importa a nessuno che, in realtà, sia un piatto che i thailandesi non mangiano mai, o comunque solo in rarissime occasioni.
È come dire, e questa è una roba che mi ha lasciato senza parole, che il piatto italiano più famoso e globalmente riconosciuto non è la pizza come tutti noi penseremmo, ma le tagliatelle all’Alfredo!! Ora ditemi gli ingredienti, vi prego. Perché io non li so!!
Restando in Thailandia, vogliamo parlare del “circo delle Paduang“, le “donne giraffa” (dal collo lungo), e che in realtà sono birmane??
Provate a recarvi in una qualsiasi agenzia per tour organizzati nel nord della Thailandia, tra le montagne, e vi troverete, al 100%, a visitare un vero e proprio “teatrino”, triste, squallido e ridicolo; dove viene ricreato un vero e proprio villaggio Paduang e dove tutto è finto, anche i tessuti che le povere donne fingono di lavorare!
Ma purtroppo, la domanda turistica è in aumento, come il degrado di queste persone!
Tornando al discorso principale.
Ognuno di noi viaggia per motivi differenti.
C’è chi viaggia per ricercare il diverso, l’esotico (motivo per il quale il teatrino delle Paduang è un’attrazione molto ambita!), e chi viaggia per ricercare se stesso. Chi per fuggire da qualcuno o da qualcosa. Chi per rompere con la propria routine; chi invece viaggia per riconoscere delle affinità con la propria quotidianità.
C’è chi ha il tempo strozzato nei giorni di ferie, e chi le ferie non ce le ha e può permettersi un biglietto di sola andata.
C’è chi fa vacanza, chi villeggiatura per riposarsi, chi viaggia per lavoro. Chi non vede l’ora di tornare a casa, alle sue abitudini; chi non tornerebbe mai, forse perché delle abitudini non ce le ha.
Chi viaggia per vedersi crollare davanti i vari stereotipi legati ad un luogo o alle persone che ci abitano, e di cui siamo stancamente bombardati.
C’è chi parte per spirito d’avventura. E chi non può farne a meno. (Quelli del tipo IO!)
Qualunque esso sia, questo motivo..
Siamo tutti in movimento, mai come in questo momento storico, ne abbiamo la possibilità.
Ed è emozionante.
Ognuno spinto da ragioni diverse finisce per trovarsi in uno scenario simile.
Un altro luogo.
Vede gente che si incontra, si riunisce, parla, combatte, si scambia oggetti, produce, costruisce, si organizza, vive, prega e ama. Vive.
Ma la differenza c’è. Eccome!
La differenza sta nella COMPRENSIONE. Nella profonda interiorizzazione della diversità. Qualsiasi essa sia.
Che appartenga ad una realtà vicina alla nostra o dall’altra parte del mondo.
La conoscenza e la comprensione del diverso da noi.
Questa è la vera catarsi indotta dalla pratica del viaggiare, ciò che accorcia le distanze tra le culture, tra i popoli. Che uccide ogni forma di pregiudizio.
La conoscenza, la comprensione e il rispetto. Per ogni forma di vita.
E che il viaggio provochi un cambiamento nelle nostre percezioni è evidente, studiato, provato.
Cambiamento che deve perdurare e non scomparire nel momento in cui attraversiamo la soglia di casa nostra!
Solo così può dare dei frutti nella nostra vita e nella nostra società, sempre più multirazziale e multietnica.
Viaggiatori o Turisti, dunque?
La verità è che nessuno vuole sentirsi turista, categoria squalificata da chi, come me, si sente non massificato.
Ce ne andiamo in giro per il mondo con un certo snobismo, portando avanti la nostra retorica di sedicenti viaggiatori, puri, spartani, fuori dai terreni battuti, culturalmente impegnati, attenti, interessati a capire a fondo le realtà che andiamo ad incontrare.
Ci identifichiamo con gli esploratori del passato, dei piccoli Marco Polo; e ci sentiamo anche dei piccoli Indiana Johns!
Povero turista! Lui ne esce disarmato, re dei viaggi organizzati, pacchetto completo giro del mondo 9 notti 10 giorni all inclusive; sminuito, ridicolizzato. Ovvio!
Noi saremmo quelli fighi e loro, i “turisti”, dei poveri idioti!
Noi, che ci spostiamo rigorosamente via terra, con ogni possibile mezzo locale, treni, biciclette, autobus, carri bestiame, pescherecci, trattori, trasporto animali, zebù; e dormiamo in ostelli, tenda, sacchi a pelo, amache, sotto le stelle..
..ma sempre e comunque con lo smartphone in tasca e la adorata Lonely Planet (fuck it) nello zaino.
Noi. Noi non abbiamo minimamente idea di cosa potesse voler dire “viaggiare”, quando lo si faceva davvero disarmati, sprovvisti di tutto, con niente, in mezzo ai pericoli.
Ogni tanto vedo qualche viaggiatore che pensa seriamente che mostrare un’aria sudicia e abiti lerci voglia significare fare qualcosa di eroico o fuori dal comune.
Portare uno zaino sulle spalle non ti rende un viaggiatore. Così come non ti rende un viaggiatore esagerare un comportamento.
Il personaggio di “cuore di tenebra” è il vero eroe!
Concludendo..
Il turista stereotipato in negativo viene creato dal viaggiatore (o da chi, con una certa presunzione pensa di esserlo) per marcare la sua antitesi.
Distinzione che oggi, francamente, non può più reggere.
Perché siamo tutti un po’ turisti e un po’ viaggiatori.
Ahimè.
Facciamocene una ragione.
Io per prima. E buon viaggio a tutti!!