Rivoluzione di Kiev

Le due Kiev che convivono

I miei non hanno fatto i salti di gioia quando un paio di mesi fa gli annunciai che sarei andato a passare la Pasqua in Ucraina. Per molti la mia tempistica non fu delle migliori, per me, onestamente, la rivoluzione in corso che tanto preoccupava mia madre, non è stata altro che una motivazione in più. Un’iniezione d’adrenalina che i giornali e internet hanno alimentato senza sosta fino a giorno della partenza.

Non sapevo bene cosa aspettarmi al mio arrivo a Kiev. Dai controlli in dogana non s’intuiva niente di speciale. In città tutto sembrava tranquillo. C’era davvero appena stata una rivoluzione o era stata tutta una messa in scena? Non sono mai stato così vicino a un conflitto, ma m’immaginavo qualche sensazione forte. Invece calma piatta. Questo almeno fino a quando ho finalmente messo piede nella piazza più filmata e fotografata degli ultimi mesi, Piazza Indipendenza, o, più semplicemente, Maidan. Ho condiviso le sensazioni che ho provato passeggiando tra le tende militari e le barricate in questo post:

Maidan: il cuore della rivoluzione,

Rivoluzione di Kiev

non starò quindi a ripetermi. A Maidan una sorta di nodo allo stomaco, sintomo dell’emozione che cercavo, mi ha preso e non mi ha piu lasciato fino alla fine del viaggio. Maidan è tuttora il cuore pulsante de la rivoluzione ucraina e il simbolo della stessa. Purtroppo, le tende militari sono ancora abitate e le barricate vengono rinforzate ogni giorno. I ciotoli ammucchiati sono lo scalpo di una città ferita, ma fiera. Parliamoci chiaro, Kiev oggi è una città tranquilla, ma il conflitto con la Russia di Putin è ancora lontano dall’essere concluso. Per questo, l’ambiente generale a Maidan è serio, ostile senza voler esserlo.

Anna, la ragazza che mi accompagnava (e che come molti altri che ho conosciuto ha sostenuto la rivoluzione direttamente) è stata la narratrice del film che stavo vivendo. Mi ha parlato delle prime manifestazioni pacifiche pro Unione Europea e di come le cose sono cambiate quando la polizia ha iniziato a usare le maniere forti. Le marce per l’Europa si sono trasformate in battaglie per l’Ucraina. Mi ha parlato delle botte e degli idranti contro la folla a 20° sotto zero! Per quanto possa sembrare irrazionale e stupido anche la guerra ha le sue regole, e a Kiev sono state violate, anche quelle. Mi ha parlato, Anna, dei bar trasformati in ospedali, quando i feriti iniziavano a sparire misteriosamente dall’ospedale vero. Le barricate non sono più quelle di gennaio, ma vi assicuro che a me hanno fatto comunque impresione. Ha parlato molto, Anna, come tutti quelli che ho conosciuto in Ucraina questi giorni, aveva voglia di far conoscere la sua verità, soprattutto a uno straniero, per far sì che l’informazione, quella onesta e sincera uscisse dai confini nazionali martoriati.

studenti di kiev

Del fiume d’informazione che mi è caduto addosso quella prima notte in Piazza Indipendenza c’è una cosa che mi ha colpito più di altre. Tra novembre e febbraio Kiev si è sdoppiata. Mentre in poche centinaia di metri la gente portava avanti una rivoluzione, gridava, lottava, moriva, nel resto della città tutto seguiva il corso naturale delle cose: casa, lavoro, shopping, festa, cinema.

Dal novembre scorso, e in parte ancora oggi, esistono due Kiev che convivono: quella che la guerra la vive sul campo e quella che la vive in televisione.

Così, nel mio piccolo, ho vissuto anch’io le due Kiev. Mentre mi divincolavo nel labirinto di tende militari e pneumatici non potevo non pensare al conflitto in corso, ai problemi “russi”, a come devono essere stati quei giorni d’inverno. Fotografavo le barricate con più reverenza delle chiese. Passavo davanti all’entrata di una tenda con un rispetto quasi religioso.

Due Kiev

Desideravo la Kiev di Maidan e l’ho vissuta, cercavo la Kiev delle guide turistiche e l’ho trovata. Santa Sofia e Sant’Andrea, il monastero di Lavra con le sue cupule dorate e l’energia delle sue grotte. Alternavo le due zone volontariamente e involontariamente. Passavo da una all’altra liberamente, ma la frontiera tra le due Kiev è ancora netta. Non sapevo bene cosa aspettarmi dalla città, ma quando alla fine ho preso il bus diretto al sud ero soddisfatto. Kiev mi ha emozionato. L’ho lasciata felice e, soprattutto, consapevole di avere ricevuto dalla gente un regalo molto prezioso: il racconto delle emozioni di una rivoluzione, l’orgoglio di un popolo che sogna di essere lasciato in pace. Un popolo che sa di poter camminare sulle proprie gambe.

P.S. Gli altri post dedicati alla mia esperienza in Ucraina con le emozioni di Maidan, le prime impressioni su Kiev e il racconto dell’ambiente surreale di Chernobyl li potete leggere su Libertad Viajera.

Kiev

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