Ocean Traceless: dall Ecuardor al Cile 5000km su una bici di bamboo per lottare contro la plastica
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Dario Nardi, nato a Ferrara nel 1985, laureatomi in Scienze biologiche conseguo successivamente la specializzazione in Biologia Marina. Negli anni ho coltivato la mia dedizione per l’elemento acquatico conseguendo il brevetto subacqueo e la patente nautica.
La fotografia, sconfinata poi nella produzione video, mi ha da sempre accompagnato in ogni spostamento facendomi da memoria artificiale. Dai primi passi percorrendo l’Europa alle montagne Marocchine,dalle coste Messicane ai 16.000km sulle strade Australiane, dai vulcani del Nicaragua alle umide foreste pluviali del Costarica, dalle nere isole canare alle candide quanto minuscole isolette dei kuna yala a Panama
1. Come mai il problema della plastica ti sta talmente a cuore da decidere di creare un progetto di sensibilizzazione ?
Da biologo marino è innegabile che questo sia senza dubbio il più grave dei problemi ecologici che l’umanità sia tenuta ad affrontare.
Penso non si debba commettere l’errore di credere che sia solo un problema confinato alla questione marina, le microplastiche sono senza dubbio entrate nella catena alimentare ittica raggiungendo anche l’essere umano, praticamente quasi tutto il pesce che oggi giorno consumiamo è contaminato da plastica (senza contare mercurio e altri metalli pesanti), non si salva neanche quello proveniente dagli allevamenti intensivi dato che la maggior parte delle reti nelle quali cresce il prodotto ittico si trova comunque in mare e ormai quasi non esiste punto al mondo che non ne sia contaminato.
La cosa a dir poco allarmante sono i risultati delle recenti scoperte secondo le quali più dell’80% delle risorse idriche potabili del pianeta siano contaminate da fibre di plastica. Se proviamo a pensare di quanta acqua abbiamo bisogno nella vita di tutti i giorni e quanti prodotti alimentari hanno come base l’elemento idrico (pane, pasta, birra, miele ecc…) ci rendiamo conto di quanto sia preoccupante il problema.Tragico.
2. Perché secondo te la gente ignora il problema?
È un po’ il concetto del fumatore incallito che comunque non riesce a smettere di fumare. Siamo talmente abituati e assuefatti all’utilizzo di questo materiale che non riusciamo a fare a meno della comodità derivante dalla sua esistenza. È ovunque e abbiamo già superato di gran lunga un livello critico, ma pur sapendolo continuiamo ad andare al supermercato e uscirne con mille prodotti, buste, confezioni, imballaggi in plastica. Non si ha la percezione di quanto il consumatore avrebbe il potere di cambiare le sorti del problema. Se magicamente da domani tutti smettessimo semplicemente di comprarla, evitandola completamente, sono sicuro che in poco tempo scomparirebbe dai mercati di tutto il mondo non essendoci più nessuno che ci guadagna. E da li dovremmo iniziare a ripulire. Il problema è davvero immenso e prima o poi dobbiamo cominciare da qualche parte. Le alternative e le tecnologie per fare scelte consapevoli già esistono e sono disponibili, è solo questione di volontà. Non ci sono più motivi per trovare scuse, se non quelle che trova un fumatore incallito sul letto di morte che comunque ha ancora voglia di fumare, ma a quel punto vuol dire che ci riterremmo già malati terminali. Sono certo che se riuscissimo ad uscirne i posteri si faranno delle grasse risate a rileggere sui libri di storia come abbiamo trattato il problema fino ad adesso.
3. Come hai organizzato questi 6 mesi di progetto/documentario?
Il progetto è nato appunto dalla voglia di mettere il mio granello di sabbia nell’immensa montagna di sabbia che ci servirebbe per coprire questo enorme problema. Per organizzarlo ci sono voluti mesi di progettazione, dalla bici stessa al tragitto, per non parlare della ricerca di fondi e dello studio della fattibilità. Il viaggio in bici è logisticamente molto più complicato di un viaggio normale ed in solitaria questa difficoltà è ancora più accentuata.
4. Parlaci un po’ della bici di bamboo
La bici in bamboo che mi sta accompagnando in questa avventura è del tuto comparabile ad una bici normalissima ed è anche questo lo scopo del progetto: dimostrare che con un materiale alternativo si possono comunque fare grandi cose senza rinunciare alle comodità e e sicurezze del materiale tradizionale. Fino ad ora non ha dato il minimo problema e, con le giuste precauzioni, confido nel fatto che non ne dia neanche in futuro, ormai siamo una bella squadra. La sua flessibilità, in oltre, ha fatto in modo che su più di 800km non mi sia venuto ancora il minimo mal di schiena, vedremo in futuro! Riguardo a questo voglio ringraziare Bam cicli di Genova che ha creduto al progetto fin da subito e si è impegnata al massimo per poter produrre artigianalmente un prodotto pensato insieme perchè potesse affrontare un viaggio del genere, ricordo chela maggior parte delle bici in bambù prodotte sono pensate per un uso cittadino e in questo caso si è dovuto ripensare da zero tutta la struttura.
5. Cosa farai da Quito a Santiago?
A parte pedalare moltissimo e per moltissimo tempo? La mia intenzione è quella di documentare l’inquinamento plastico presente su una delle coste più colpite al mondo da questa emergenza ecologica, senza pensare poi che l’Oceano Pacifico; è decisamente il più inquinato sul pianeta terra dalla plastica. Per fare questo l’iterazione con le persone che incontrerò sarà fondamentale per capire a che punto siamo e per provare a proporre anche delle soluzioni possibili. Tramite interviste e testimonianze sarà possibile capire di quale portata stiamo parlando e cosa si sta facendo per evitare il problema. Giusto oggi ho intervistato un funzionario del ministero dell’ambiente ecuadoriano che mi ha approfondito tutta la situazione costiera del paese e sulle misure che il governo sta attuando per provare a far fronte al problema. Domani l’intervista con un ricercatore della Charles Darwin fondation delle Galapagos via skype potrà illuminarmi sulla situazione presente in una area marina protetta e se possono servire determinate leggi anche ad affrontare un problema senza confini come questo.
Le foto e i video saranno il mezzo principale per raccontare le persone incontrate sul mio cammino, le loro situazioni e l’ambiente dove vivono. Sulla pagina facebook del progetto Ocean Traceless sono presenti già parecchi esempi di come intendo documentare fotograficamente questi incontri, a breve non mancherà anche l’incremento di video e interviste.
6. Come può supportarti chi è interessato?
Il mio fine ultimo sarà quello di produrre un documentario che si articolerà su tre rami principali: Il viaggio stesso e l’esperienza di affrontare più di 5000km su una bici di bambù, le esperienze, le fatiche, le gioie e gli incontri che una lunga strada come questa può portare.
Secondo aspetto sarà fare un quadro sulla situazione dell’inquinamento plastico nelle aree attraversate e sulle sue conseguenze nell’ambiente e sulle persone.
E per ultimo ma non per ordine di importanza, l’utilizzo di eventuali materiali alternativi, qualsiasi essi siano, che possano essere una delle risposte a questo epocale problema ecologico.
7. Alla fine di tutto hai intenzione di fare un video documentario, dove sarà pubblicato?
Sono attualmente attivi tre canali principali:
– Facebook dove in tempo reale verrà riportata l’esperienza del viaggio e tutti i suoi risvolti, comprese foto e video:
https://www.facebook.com/oceantraceless/
– Instagram dove faranno da protagoniste foto per testimoniare visivamente tutto il tragitto e tutta l’esperienza. Da cercare come:
– Il sito internet dove sarà possibile conoscere tutti i dettagli del progetto e rimanere aggiornati tramite la sezione dedicata al blog dove periodicamente pubblicherò articoli per descrivere nei particolari le esperienze vissute, le interviste effettutate e qualsiasi tematica inerente a questa iniziativa:
http://www.oceantraceless.com/
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