Persi alla deriva nel mare brasiliano, il racconto di Elisa
A volte sottovalutiamo la forza della natura o sopravvalutiamo la nostra abitudine a plasmare l’ambiente secondo i nostri bisogni.Hai mai pensato cosa si può provare ad essere in acqua alla deriva nell’oceano atlantico per 7 ore? non è la sceneggiatura di un nuovo film americano, è il racconto di Elisa, ridonata a noi dagli “dei del mare” brasiliano.
<< l piccolo paese sulla sabbia, la manciata di case e pescatori di Atins, a quattro ore di barca dal mondo, lungo il fiume della pigrizia.
Cristina e Leandro nuotavano già al largo e ci chiamavano facendo gesti.
Eravamo finalmente arrivati, l’ Oceano e non lontana la foce del fiume che dopo un lungo viaggio ci aveva condotti in quel posto.
Dopo poco vedevamo già le loro teste piccole come un punto in lontananza, forse stavano nuotando fino a quell’ isolotto che si vedeva all’orizzonte, un po’ temerari, ma decidemmo di seguirli.
Era così calmo il mare, noi eravamo felici, e nuotare dava pace.
Poi le loro teste sparirono. Non sapevamo cosa pensare. La spiaggia verso cui credevamo nuotassero, non si avvicinava. Ci rendemmo conto che era effettivamente troppo lontana, una pazzia pensare di arrivarci a nuoto. Decidemmo allora di tornare indietro. Ma girandomi mi accorsi che eravamo già molto lontani dalla spiaggia di partenza, inaspettatamente.
In pochissimo tempo e con qualche bracciata eravamo già molto al largo. Esattamente a metà strada tra una spiaggia e l’altra. La corrente, silente, era fortissima. Io e Martin ci guardammo e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Nuotare era inutile, uno spreco di energie.
“L’ importante è rimanere tranquilli, uniti, non bere, non stancarsi”, dissi.
Decidemmo di non farci prendere dal panico e dalla paura. Sapevo che erano loro ad uccidere, in fondo.
All’ improvviso Martin riuscì a toccare con i piedi, l’acqua era più bassa, lo urlò, mi aggrappai a lui, e dopo qualche suo passo toccai anche io. Questo ci riempì di fiducia.
“Qui potremo resistere ed aspettare i soccorsi”.
Ma la corrente ci tolse subito la speranza e ci riportò di nuovo dove non toccavamo. Le dita dei piedi si aggrappavano inutilmente alla sabbia, era come piantare un chiodo nell’acqua…Niente da afferrare e la corrente contro. (leggi il racconto originale) Ci alternavamo per galleggiare e riposarci. Era come sentire di non potere nulla. Come sentire di non avere alcuna forza. Nuotare nuotare ed essere sempre più lontani. Si può essere sopraffatti da questa sensazione e così, sì, morire. La luna era già lassù. Esattamente quel momento in cui è bianca, e convive ancora colla luce del giorno. Avrebbe fatto notte, e speravamo che qualcosa succedesse prima di allora. A tratti pioveva leggermente.
Eravamo ancora tranquilli e quando vacillavamo ci rassicuravamo a vicenda. Sentivo che non sarei morta quel giorno, sentivo che seppure fossi morta mi sarei sentita soddisfatta.
Galleggiavamo a momenti alterni, ci tenevamo per mano, vivevamo l’ intensità di quella situazione parlando della grandezza di quell’ entità che ci teneva fra le sue braccia. Avevamo infatti entrambi questa sensazione, quella di essere “contenuti”. Pensavamo alle ipotesi più positive, ci facevamo coraggio, non saremmo morti quel giorno. “Vontade de viver” , e qualcosa di molto, molto più grande di noi.
Il sole si era ormai tuffato nell’acqua. Era urgente che arrivasse una barca, che pensassero a noi. Eravamo molto lontani dalla riva, tanto lontani che sarebbe stato impossibile tornare a nuoto.
Non ce la avremmo fatta neanche da nuotatori professionisti e con la corrente a favore.
A momenti mi veniva da piangere, a momenti mi veniva da ridere.
“Staremo uniti fino alla fine”, ci abbracciammo. Nessuno dei due avrebbe potuto avere un miglior compagno di disavventura. Eravamo due rocce che si prendevano per mano, il mare era molto più grande e forte di noi, era lui che comandava, eppure noi eravamo due piccoli esseri uniti ed intelligenti. Guardai il cielo e cercai mio nonno, sentivo che lui mi stava guardando. Guardai il cielo, il mare, pensai a Yemanja, la divinità del mare. A tratti provavamo a gridare aiuto, magari qualcuno ci stava cercando, e ci avrebbe sentito…
Sentivo che se anche fossimo morti tutti, il mondo avrebbe continuato ad esistere ugualmente, perchè il cielo, il mare, la terra sono tanto più grandi di noi…..Era tutto molto bello, estremamente tranquillo. Pensai a tutte le cose che probabilmente non avrei più fatto, eppure riuscivo a sorridere.
Non sarei tornata a Rio, per il carnevale, non avrei più compiuto gli anni, né ballato il samba.
“Io non ti lascio, stai sempre accanto a me, se sopravviviamo io ti sposo”, dissi a Martin.
Lo feci come per scaramanzia, come se pronunciare quella promessa aumentasse le possibilità di salvezza. In realtà lo facevo perche avevo forse perso la speranza, perchè trovarci per una barca sarebbe stato impossibile.
Era buio ormai. Cominciavo anche a sentire un po’ freddo. Non credevo di poter arrivare alla mattina seguente. Era chiaro che avremmo fatto una brutta fine. Non riuscivo tuttavia ad immaginare “tecnicamente” come questo sarebbe successo, avevo una grande vitalità, un senso di sopravvivenza nuovo. Il mio corpo sapeva, perche non chiedeva. Non chiedeva insistentemente acqua, cibo, riposo.
All’improvviso Martin sentì terra di nuovo, mi urlò che stava toccando, con i piedi.