Come organizzare il Trekking alla Ciudad Perdida in Colombia
Il trekking della Ciudad Perdida il più famoso di tutta la Colombia, uno dei più iconografici di tutto il Sudamerica eppure in pochi lo fanno, diciamo che la massa che arriva in questa meravigliosa terra preferisce soffermarsi sulla costa caraibica o tra i paesini dell’Eje Cafetero. Eppure si impara così tanto in questi 5 giorni: sudore, fango, acqua, capanne, storia e coca.
Come organizzare il terekking della Ciudad Perdida
Mediamente c’è un affluenza di circa 40-50 visitatori al giorno, questo permette di avere il cammino sempre abbastanza libero e cosa ancora più eccezionale di visitare la Ciudad Perdida praticamente deserta! Si può organizzare il trekking tranquillamente da Santa Marta o da Taganga, tutte le agenzie hanno un prezzo fisso di 600.000 COP [io ci sono stata nel 2012], ma devo dire che la scelta dell’agenzia fa la differenza. I gruppi dormono tutti praticamente negli stessi campi o quasi, ma dipende dalla guida assicurarsi che si abbia la tenda o il capannone più comodo o ancora più importante, una quantità di cibo adeguata ogni sera. Ma la cosa sicuramente più grave è che ci sono alcune guide che assumono droga durante il tragitto, ho visto personalmente altre guide assumere droghe più o meno leggere, e intontirsi non poco o portarsi la fidanzata al seguito la cui cosa li distraeva non poco. Il trekking non è esattamente leggero, spesso la pioggia rende il cammino molto scivoloso e quindi pericoloso, si guardano diversi fiumi, avere una guida presente e attiva è importante soprattutto per la sicurezza. Essendo io pienamente soddisfatta della mia fantastica e super paziente guida Jorman, vi consiglio l’agenzia Magic Tour di Taganga che però ha anche un ufficio a Santa Marta nella piazza principale. Chiedete di Fanny o Sebastian.
Itinerario del trekking della Ciudad Perdida
Giorno 1: il pick up è alle 8:30, ma le distanze in Colombia sono molto lunghe, per percorrere i 45km che vi separano da Machete Pelao, il paesino fantasma da dove parte il trekking, servono circa 2h. Si arriva all’ora di pranzo, un panino al volo e si parte, la guida vi dirà che so solo 3h di trekking, ma ometterà di dire che sono le più difficili dei prossimi 5gg! Il sentiero è il più disastrato che io abbia ai percorso, solo argilla scivolosa, con pietre nel mezzo e una pendenza impegnativa, il tutto considerando che in estate il pomeriggio piove quindi diventa un torrente in piena che scende in direzione contraria. Il primo campo prevede l’alloggio in amaca ed essendo vicino al fiume la notte sale molta umidità quindi io vi consiglio deportavi il sacco a pelo o di avvolgervi come un bruco nella coperte in dotazione. Per rassicuravi, tutti i pasti sono ottimi e abbondanti e la sera avrete anche un piccolo dolce!
Giorno 2: sveglia comoda sia parte alle 8 circa e in 4h si raggiunge l’accampamento due, nel tragitto ci sono un paio di soste piacevoli e una piscina naturale nella quale riposarsi e finalmente rinfrescarsi. La giornata è abbastanza leggera, c’è solo una mega salita da 1,20h. Vicino all accampamento c’è una parte piacevole dove il fiume è balneabile. L’accampamento due è il più comodo, ha dei letti a castello con dei materassi comodissimi, è molto pulito e avrete la possibilità di lasciare i vestiti bagnati perché sarà la vostra tappa di ritorno al 4 giorno.
Giorno 3: il mio preferito, sono circa 3h di cammino il paesaggio cambia molto, finalmente si entra nella foresta tropicale, inizia quello che per me era l’immaginario del trekking, si attraversano due villaggi di indigeni Kogi, dove gli uomini non vogliono assolutamente essere fotografati mentre le donne e i bambini si prestano volentieri, specialmente se gli si regala qualcosa da mangiare. L’accampamento 3 è il più vicino al sito archeologico, ci si arriva come sempre all’ora di pranzo, poco prima di arrivarci si guada un fiume abbastanza alto e se ne approfitta per rimanere a sguazzarvi. La location dell’accampamento 3 è davvero fantastica perché è proprio al lato del fiume quindi potrete trascorrere il pomeriggio a rilassarvi sulla spiaggia tra un bagno gelido e una lettura. Il lato negativo è che i letti sono abbastanza sfondati quindi la mattina seguente il mal di schiena si farà sentire.
Giorno 4: finalmente si arriva alla meta tanto desiderata: la Ciudad Perida! L’ accampamento 3 dista solo un km dal sito archeologico, ma ci impiegherete 1h per percorrerlo, questo vi dovrebbe dare un idea di quello che vi aspetta. Si inizia con un percorso a bordo fiume sui sassi, poi si attraversa un ponte simil tibetano, che è stato costruito solo 9 mesi fa dopo un incidete che è costato la vita di un turista. Poi iniziamo i 12.000 scalini di pietra dissestati che vi condurranno all’entrata della città. La Ciudad Perdida è una città sacra del popolo Tayrona, quello che rimane sono le basi delle case e degli edifici sacri. Le costruzioni erano a pianta circolare, fatte di legno e argilla identiche a quelle ancora in uso dalle 4 tribu della Sierra Nevada. Il popolo Tayrona è stato nella storia il più importante della zona di Santa Marta, ma nel 1700, in seguito ad epidemie portare dagli spagnoli si è totalmente estinto. La città è rimasta abbandonata per 300 anni e quindi tutte le costruzioni sono state fagocitate dalla giungla, lasciando i piedi solo i basamenti di pietra. Il popolo Tayrona, come la maggior parte delle culture precolombiane, credeva nella vita ultraterrena e seppelliva i propri morti con oggetti d’oro, tale per cui la Ciudad Perdida è stata cercata per secoli. Nella fine degli anni ’70 è stata trovata da un gruppo di vaqueros, cercatori d’oro, che hanno iniziato a distruggere le rovine con la speranza di recuperare tutto l’oro in breve tempo. La fama di questo tesoro si è sparsa brevemente e diversi esponenti del narcotraffico colombiano si sono interessati a recuperare l’oro perduto. In breve tempo è iniziata una guerriglia sanguinosa, ma nella seconda metà degli anni ’80 un vaquero ha denunciato il ritrovamento della Ciudad Perdida al governo Colombiano, facendo diventare patrimonio dell’umanità e quindi finalmente protetto. Questo signore è diventata la prima guida della Ciudad Perdida e io ho avuto il piacere di conoscere il figlio.
Uno dei rari privilegi che vivrete visitando la Ciudad Perida è che avrete il sito tutto per voi e dalla collina potrete scattare la famosa foto delle terrazze rotonde. Il quarto giorno è in effetti molto duro, dopo la visita mattutina bisogna ritornare all’accampamento due in circa 3 ore di salite e discese, ma con l’ aggravante che molto spesso, come è successo a me, il pomeriggio piove e il sentiero diventa impraticabile e pericoloso.
Giorno 5: non vedrete l’ora di tornare nel mondo civilizzato per mettervi vestiti asciutti. Vi separano solo 7h di cammino! Il tragitto è decisamente lungo, ma anche piacevole, attraverserete delle belle vallate, molti campi coltivati, splendidi panorami e soprattutto rimarrete sconvolti constatando quanta strada in salita avete percorso il primo giorno. Gli ultimi minuti vi sembreranno interminabili, ma per fortuna alla fine verrete ricompensati da una nuotata al fiume e finalmente una birra ghiacciata a Machete Pelao.
Quello che dovete ricordarvi di portare che le guide non dicono:
- un sacco a pelo leggero, perché di notte fa davvero freddo, è umido e le coperte degli accampamenti sono spesso pieni di pulci;
- un bastone da trekking, è praticamente impossibile fare il trekking senza bastone, e per evitare di rompere tutti i rami della foresta consiglio di trovare un’ agenzia che ve lo affitti prima di partire;
- un poncho per la pioggia, io per fortuna lo avevo, in modo da potervi riparare durante le vostre lunghe camminate sotto l’acqua;
- un copri-zaino, sempre causa pioggia;
- buste di plastica per riporre i vestiti puliti, io lo faccio sempre ogni volta che viaggio, ma vi assicuro che nella giungla è davvero indispensabile, tutto sarà sempre umido e maleodorante e la sete ringrazierete voi stessi per quella piccola bustina!
- specialmente se avete problemi di schiena o non siete molto allenati ì, meglio lasciare il bagaglio ad una mula e portare com voi solo acqua e macchina fotografica, meglio contrattare i prezzo con l’agenzia prima di partire. Ad ogni modo per quanto ritengo che sia un trekking duro, tutti ritornarono molto contenti e soddisfatti, e poi se siete fortunati come me farete anche degli ottimi incontri che vi accompagneranno nei giorni seguenti.
Incontrare il popolo Kogi della Sierra Nevada
Una cosa abbastanza peculiare di questo trekking è che durante tutto il percorso incontri indigeni, la verità é che li incontri un po’ ovunque nella Sierra Nevada dato che ce ne sono circa 2500, vestiti ancora come 300 anni fa, una veste bianca, capelli lunghi, le donne scalze e con le collane di perline gli uomini con gli stivali di gomma (unico indumento moderno) e una borsa a tracolla; come in tutte le culture andine, e non solo, le donne portano i pesi e gli uomini coltivano e si occupano del bestiame. Nella sierra vivono quattro etnie io ho avuto la possibilità di conoscere i Kogi ed ecco cosa ho imparato. I Kogi sono un popolo seminomade, vivono di agricoltura, generalmente hanno un villaggio principale e 3 o 4 fincas, tenute agricole, nelle vicinanze. Ciclicamente si spostano per controllare e curare i vari raccolti, la loro alimentazione è composta prevalentemente da jucca e altri tuberi, mangiano poca carne e poco pesce infatti hanno una corporatura alquanto ridotta.
Le loro case sono a pianta circolare, come i tayrona, gli uomini e le donne vivono in case diverse, le loro abitudini sessuali sono al quanto bizzarre, di solito fanno sesso di giorno nei campi coltivati come segno di fertilità e per di più lo fanno immobili ovvero l’uomo giunge all orgasmo per pura concentrazione mentale e la donna ovviamente, non prova mai l’orgasmo. La mia guida mi ha raccontato che una volta ha dovuto vivere per lavoro 3 mesi in un villaggio com un amico il quale ha avuto un rapporto sessuale con una donna Kogi “all’ occidentale”, ma sfortunatamente era sposata e quando il marito è tornato, durante un rapporto sessuale si è mossa e ha capito che lei lo aveva tradito.
Come tutte le popolazioni andine anche i Kogi hanno il culto delle foglie di coca, e credono che masticandole si avvicinino di più agli dei. La loro cultura è ricca di rituali e simbolismi, la coca può essere masticata solo dagli uomini, ogni ragazzo al compiere dei 18 anni riceve un poporo, una zucca con un lungo bastoncino di legno, dove riporre la polvere di conchiglia che si aggiunge al bolo di foglie di coca per aumentarne l’effetto inebriante. La polvere si introduce in bocca con questo lungo stecchino che poi si passa sulla bocca del poporo, i resti di saliva polvere e foglie creano un rivestimento bianco che tende ad ispessirsi con il passare degli anni, questo conferisce un simbolo di maturità al maschio.
Gli indigeni sono divisi per aree ed ogni area è sotto il controllo di uno sciamano che racchiude il potere religioso e quello politico, ogni villaggio ha un capo che ha un ruolo di guardia e da intermediario con lo sciamano, se le dispute o le contrarietà non vengono risolte all’interno del villaggio si va dinnanzi allo sciamano, il quale utilizzando il poporo della persona che ha difronte riesce a leggerne la verità. Esistono ancora le punizioni corporali anche se l’umiliazione più grande è che gli vengano tagliati i capelli, quella rappresenta la pena più grave ed è causa di enorme vergogna per tutta la famiglia.
La religione dei Kogi è ovviamente naturista, loro credono che un tempo sole e luna vivevano sulla terra con sembianze umane e dalla loro unione sono nati i Kogi che rispettano ed amano la madre natura; invece noi occidentali siamo solo nipoti degli dei perché non rispettiamo ed amiamo la natura, direi che il discorso fila.
I Kogi credo l nella reincarnazione familiare, ossia ognuno dei morti si reincarna nel terzo figlio del loro primo figlio maschio, quando ho chiesto loro come fosse possibile dato che di solito questo bambino nasce con loro ancora in vita, non hanno saputo rispondermi.
Che dite vi ho convinto a partire?