Viaggiare da soli a Kuala Lumpur e perdersi senza meta.
L’unico limite di una persona sono le proprie sicurezze.
E’ questo che ho pensato mentre non-programmavo il mio viaggio in Malesia. Non programmavo perché questa volta ho deciso di non organizzare appositamente tutto il programma di viaggio, ma per quanto possa essere possibile, decidere di giorno in giorno cosa fare.
Abituata al rigore e alla precisione dei miei ultimi anni in Giappone, ritrovarsi nella caoticità di Kuala Lumpur tra attraversamenti pedonali senza semafori e con alto rischio di investimento, pulizia non a livello standard, mezzi pubblici appena esistenti…non è stato facile. Non mi sono saputa adeguare subito e chiedendomi:
“perché si dovrebbe venire a visitare la Malesia?”
non mi sapevo dare risposta.
Eppure sono abituata a viaggiare e conoscere le altre culture è proprio ciò che mi spinge a farlo. Dovevo superare il mio livello di sicurezza e lasciarmi guidare dall’istinto;
Avete mai voluto perdervi volutamente in una città mai visitata prima?
Metti in tasca la cartina e alza gli occhi, osserva le case, i negozi, le finestre dei palazzi; respira gli odori di cibo, mercati, bancarelle; ascolta i suoni del traffico, le urla nei venditori ambulanti, della gente che chiacchera…fermati e osserva ciò che accade intorno. Non aver paura di perderti, il non avere tutto sotto controllo è uno status mentale che molte volte limita la capacità di saper cogliere alcune sfumature…ed è questo che mi ha spaventato al mio arrivo a Kuala Lumpur. Tutto diverso, sconosciuto.
Alla domanda “Ma tra quanto arriva il bus? Non c’è il cartello con gli orari” mi sono sentita rispondere “Non lo so tra quanto arriva. Tra un po’, dipende dal traffico. Può essere che arrivi quello nuovo o quello della compagnia vecchia, quello che arriva prima lo prendi che tanto vanno tutt’e due in stazione centrale” .
La mia versione giapponese con una risposta simile sarebbe già stata in ansia. Ma a cambiare punto di vista, cambia anche l’emozione. “Se non sono preoccupati loro, non lo devo essere io che sono in vacanza” e così sono continuate le mie giornate successive, tra un “arriverà un taxi”, “sorry, oggi giornata straordinaria di chiusura del canopy – il ponte sospeso -” e i “che fortuna, capiti nell’ora in cui si può visitare la moschea”, “oggi sei l’unica persona qui, quindi siamo completamente a tua disposizione” “il treno sta arrivando giusto ora”.
Del fatto che “il caso non esiste” me ne sono convinta da oramai troppo tempo. Cambiato il punto di vista e superato i miei limiti, le cose belle della Malesia ho saputo trovarle.
In particolare quando ho lasciato perdere la zona turistica delle Petronas Twin Tower e della Menara KL – l’altro simbolo di Kuala Lumpur – e andando alla scoperta dei quartieri in cui vive la gente.
Meglio la cultura cinese, quella indiana o quella islamica? In Malesia, ma anche direttamente in Kuala Lumpur, convivono pacificamente tante diverse nazionalità e religioni, ognuna nel proprio quartiere.
La conversione al fatto che la Malesia è una nazione molto affascinante, con gente cordiale, positiva ed accogliente è stato nella Little India, mentre visitavo un tempio hindi in cui stavano festeggiando un matrimonio: in un attimo mi sono ritrovata assieme a parenti ed amici a fare i complimenti agli sposi e a servirmi dal buffet vegetariano, con gli invitati che mi invitavano a provare tutti i piatti perché “this is very good, taste it, taste it!”, ad indossare il sari e ad assistere ad una cerimonia di ringraziamento a Ganesh, il Dio Elefante dell’abbondanza, con fiumi di acqua, latte di cocco, riso, petali e corone di fiori dati in offerta.
Poi la Chinatown, con le lanterne, la gente che mangia per strada, le bancarelle che vedono qualsiasi tipo di merce contraffatta, la musica, il rosso che predomina ogni angolo.
O ancora nel quartiere del Mercato Centrale, con l’edificio chiaramente riconoscibile per i rivestimenti bianchi e azzurri, o le vie laterali, che tra un palazzo moderno, i lavori in corso e un edificio moresco la gente urla, ride, dorme sui marciapiedi, mangia.. se all’inizio lo avrei definito “confusione totale” ora mi sarei dovuta ricredere. E’ un’esplosione di energia, perché tutto è organizzato in ogni quartiere che a Kuala Lumpur diventa un minimondo: le proprie usanze, le proprie religioni.
Proprio i lati di questa città che non apprezzavo, una volta superato il mio limite di sicurezza, sono quelli che la caratterizzano e la rendono speciale.
Non è facile da spiegare Kuala Lumpur, meglio lasciarsi andare e viverla.