Viaggiare in Argentina per ritrovare le proprie radici.

Erica, divisa tra due terre, tra due continenti, tra l’Italia e l’Argentina, dopo 25 anni che non ci tornava, decide di viaggiare in Argentina da sola per ritrovare le sue radici. 

1. Tu sei d’origine argentina, cosa ha significato per te questo viaggio di riscoperta delle tue radici?

Nonostante il mio pesante accento veneto sono nata in Argentina, nel 1982, da mamma italiana e papà autoctono. La mamma era arrivata nel profondo entroterra patagonico come missionaria laica (in pratica assistente sociale) nel 1976 e il papà dall’afosa Corrientes (circa 3000 km più a nord) era finito laggiù a fare il gendarme in un paesino di frontiera con il Cile. Io sono nata diciamo “in viaggio”, a un centinaio di km da Buenos Aires, perché papà stava frequentando lì la scuola militare. Ho vissuto in un paesino sperduto in piena Patagonia (3mila anime umane e un fottio di anime ovine, tutt’intorno il nulla spazzato da un vento impietoso) fino al 1988.  Per il natale di quell’anno siamo andati in vacanza in Italia a trovare i nonni materni, solo che come dire, la vacanza si è prolungata…  In pratica abbiamo fatto un trasloco – senza sapere di doverlo fare – viaggiando leggeri.

È stata dura per tutti ricominciare da zero; la mia mente ha fatto tabula rasa dei ricordi della prima infanzia e ho totalmente assimilato da subito la cultura italiana. Ho sempre sentito che mi mancava “un pezzo” ma non avevo il coraggio di rivedere luoghi e soprattutto persone che conservavano il mio ricordo mentre io li avevo cancellati. Altri motivi pratici (anche detti “scuse”) hanno rimandato sempre il viaggio: quando studiavo non avevo le finanze, quando lavoravo non avevo abbastaza ferie…

Il 2012 è stato l’anno in cui ho deciso di ritornare in Argentina.

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2. Perché hai deciso di ritornarci da sola?

Lo scorso novembre ho deciso di partire da sola per bisogno di staccare e mettermi alla prova (ho viaggiato altre volte da sola ma non così a lungo) e soprattutto perché, disoccupata di fresco e con la necessità di dare una nuova direzione alla mia vita, volevo recuperare quel pezzo della mia identità e adesso ero pronta a farlo. Tempo ne avevo ma mi sono data il limite di due mesi, c’erano i soldi della liquidazione, qui stava per arrivare l’inverno… Quale momento migliore? Covavo anche l’idea di cercare lavoro lì e trasferirmi, ma prima dovevo vedere com’era.

3. Che itinerario hai fatto e come ti sei mossa?

C’è un “ma”. Quando ho comunicato a mia madre che di lì a un mese sarei partita per quest’avventura (più un impulso che una decisione) non mi ha detto “sei pazza” o “che bello”. No no. Ha detto “vengo anch’io”.
Lì ho pensato “ok, è un paese libero ma giù le mani dal mio viaggio esistenziale!” quindi abbiamo stabilito che saremmo partite e tornate insieme ma una volta lì, ognuna per la sua strada.
Atterrate a Buenos Aires a metà novembre siamo state ospiti da amici suoi una decina di giorni per rinnovare i documenti argentini, poi ci siamo divise, io al nord e lei al sud, dove ci saremmo ritrovate circa due settimane prima del ritorno in Italia, previsto per metà gennaio.

Il mio itinerario è stato: Buenos Aires – Rosario – Posadas e missioni gesuitiche – cataratas del Iguazù – Corrientes – Salta e Quebrada de Cafayate – Tilcara e Purmamarca – Mendoza e Maipù – Santiago de Chile (a trovare un’amica) – Bariloche – Esquel e parque de los Alerces – Comodoro Rivadavia (a recuperare la mamma) – El Calafate e parque Los Glaciares – Rio Mayo (a recuperare la memoria) – [Comodoro] – Buenos Aires.

Non avendo pianificato alcunché prima di partire e non avendo previsto alcune variabili, più che altro disavventure economiche (sorvolare sul tasso di inflazione del 25%; scoprire l’impossibilità di prelevare con le carte di credito/debito solo una volta giunta a Puerto Iguazù e doverci restare tutto il weekend perché il venerdì pomeriggio il bancomat ti inghiotte la carta e devi aspettare che la banca riapra lunedì; i parenti a cui non puoi assolutamente dire “sto solo un paio di giorni” quand’è la prima volta che ti vedono, anche perché, povera zia, si assumono il dovere di aiutarti a risolvere il dannato problema del bancomat – che poi era una cavolata, ma l’ho scoperto per caso solo dopo una settimana d’inferno burocratico), a malincuore ho dovuto escludere la Tierra del Fuego, la Peninsula Valdes (non era neanche più stagione di balene) e il trekking a El Bolson, ma li tengo per la prossima volta che punterò – più attrezzata – verso sudovest.

Mi sono mossa sempre con i favolosi micro, le corriere superaccessoriate. Beh, non tutte erano superaccessoriate: le 26 ore di viaggio da Tilcara a Mendoza sono state tremende: ero senza cibo, senza musica e senza sedile, perché sul mio sgocciolava senza sosta il radiatore dell’aria condizionata. Passata una notte umidissima in k-way a imprecare tra i denti, al mattino ho iniziato a occupare di volta in volta i posti che si liberavano e rioccupavano, tra lo sguardo perplesso degli altri passeggeri, tutti boliviani incuriositi dal mio viavai.
Ho preso un volo interno solo alla fine, da Comodoro a Buenos Aires, il prezzo era di poco superiore a quello del micro.

Viste le enormi distanze e gli orari limitati di alcune tratte non era il caso di improvvisare troppo, cercavo almeno 1-2 giorni prima della nuova partenza di controllare gli orari e i prezzi dei micro, in internet o in biglietteria. Ovviamente il biglietto da Tilcara a Mendoza, il percorso più lungo che ho fatto, l’ho acquistato un’ora prima di partire perché ero indecisa sulla destinazione: pessima mossa.

Avrei tanto voluto sperimentare l’autostop – mi vergogno a dirlo ma non ho mai provato – però chiunque mi ha fatto terrorismo psicologico in quanto “ragazza che viaggia da sola”. Sarà per un’altra destinazione o vedrò di rimediare dei compagni di viaggio. Sono contenta di aver ignorato il terrorismo psicologico relativo alla città di Salta: mi è piaciuta talmente tanto che volevo rimanere a vivere lì nei dintorni. Ci sto ancora pensando.viaggiare in argentina

4. A mio parere l’Argentina ha la natura più emotivamente travolgente che abbia mai visto, in che modo ti sei goduta la contemplazione in solitaria? Qual è stato il luogo che ti ha toccato la pancia e perché?

La natura Argentina è incredibile, ce n’è per tutti i gusti e ti sorprende sempre. In silenzio si apprezzano meglio certe esperienze che altrimenti si sporcano di una patina da “turismo della domenica”. Ho molto apprezzato la politica delle escursioni al parque Los Alerces: nel trekking al ghiacciaio Torrecillas è ammesso solo un gruppo di 8 persone, solo una volta al giorno e nemmeno tutti i giorni (e la guida si porta dietro la paletta per sotterrare eventuali… tracce degli escursionisti).

Ho avuto davanti agli occhi due tra i fenomeni naturali più famosi del mondo: le impressionanti cascate dell’Iguazù e l’immenso ghiacciaio Perito Moreno. Però, per quanto mi abbiano lasciata senza fiato e ridimensionata come essere umano rispetto alla grandezza della natura (questo è inevitabile, lo fanno), non sono quelle che mi hanno commossa nel profondo, non le sentivo “mie”; forse dipende dal fatto che in quei momenti avevo delle preoccupazioni che mi distraevano o forse perché, pur essendo bassa stagione, c’erano tanti turisti (me compresa), la nemesi del romanticismo errante per antonomasia.

Ho sempre pensato che l’acqua fosse il mio elemento, ma in Argentina il mio elemento era la terra: mi palpitava il cuore camminando sulla terra sanguigna della provincia di Misiones* in contrasto con il verde smeraldo della foresta; non riuscivo a stare seduta durante il viaggio da Bariloche a Esquel**, la consapevolezza di entrare (di nuovo) nell’aspra Patagonia mi faceva sentire come una pioniera che affronta l’ignoto, anche se al sicuro in una corriera; ho lamentato l’inadeguatezza della mia vista che non riusciva a contenere per intero le vividissime quebradas del nord e i loro colori; la cosa che più ho amato di Buenos Aires sono stati gli alberi! Le jacarandas fiorite nei boschi di Palermo e gli ombues dalle radici giganti a Recoleta, cercavo di continuo la loro presenza.
Più di tutto ho percepito uno strano legame con la terra camminando tra le rocce della Quebrada di Humahuaca, a Tilcara: non so per quale motivo ma pur sentendo la fatica dell’alta quota e il sole a picco che si faceva beffe della mia crema protezione 50, non mi ero mai sentita così potente e così parte di questo pianeta, era come se qualche forza (c’era lo zampino della Pachamama?) mi stesse soffiando vita attraverso la pelle e io e le rocce colorate fossimo fatti dello stesso materiale. Non saprei dire perché ma una sensazione altrettanto forte l’ho provata la prima volta che ho camminato lungo i fori imperiali a Roma: sentivo esattamente il peso dell’eternità di quelle pietre e ne facevo parte.

Erica a Tilcara
Erica a Tilcara

5. Perchè dici che le montagne di Jujuy sono state le tue migliori compagne di viaggio?

In realtà il mio cervello ha operato una sintesi: ho letteralmente adorato le montagne della provincia di Jujuy e ho condiviso quest’esperienza con altri due viaggiatori conosciuti a Tilcara; siamo stati insieme circa una settimana camminando tutto il giorno (e bevendo parecchia birra negra la sera) e loro in effetti erano i migliori compagni di viaggio che potessi volere per quel tipo di esperienza.
A parte loro due e le montagne (il cui ricordo non mi abbandona), altri ottimi compagni di viaggio sono stati i perros callejeros, cani* semirandagi o di barrio: anime erranti, goliardiche e di buon cuore!

6. Il viaggio lo fanno le persone che si incontrano sulla via, allora secondo te che differenza di approccio c’è verso l’altro quando si viaggia in solitaria?

Io sono un’introversa, a parte quando esagero con l’alcol, non mi è facile stringere amicizie e preferisco la qualità alla quantità. Certo sono significativi anche i brevi confronti, le chiacchierate con sconosciuti che non rivedrai più e che forse per questo si lasciano andare alle confidenze, o anche le piccole interazioni con chi incroci lungo la strada. Se viaggio in compagnia mi sento più protetta e libera di fare sbruffonate; viaggiando in solitaria, oltre a dover usare molto più buon senso per la sicurezza personale, sono totalmente vulnerabile: o mi lascio andare o alzo barriere. Dall’altra parte, le persone ti percepiscono in maniera diversa se viaggi da solo: ti vedono coraggioso o intraprendente o fortunato o chissà che, in ogni caso penso ti rispettino di più e si lascino avvicinare più facilmente, soprattutto per quanto riguarda gli abitanti locali. Certo, dipende anche dal tuo atteggiamento, umiltà e curiosità sono sempre parole chiave.

7. Cosa ha significato per te viaggiare on the road senza una meta precisa?

Ma si può dire on the road anche viaggiando in corriera? Beh, è stato assolutamente liberatorio, non sapevo bene cosa avrei trovato e tante volte non prenotavo nemmeno l’alloggio, lo cercavo una volta arrivata. Essere un po’ sprovveduta più di qualche volta mi ha creato delle situazioni logisticamente scomode ma accettabili, ho buone gambe e alla fine uno si abitua a vagare a caso con lo zaino, lo status di “viaggiatore” ti riempie sempre di energie, no? Ammiro moltissimo i “veri” viaggiatori, i globetrottres autostoppisti o pedalanti, quelli che chiedono ospitalità a gente del posto: sto cercando di immaginarmi così per la prossima volta

8. Che risorse personali hai guadagnato in questo viaggio?

Ho capito che non è mai troppo tardi per mettersi in discussione, anche se avrei dovuto iniziare a vivere esperienze simili molto prima! Ho confermato quel che già sapevo: in viaggio ho un’energia invidiabile che nel mondo “stanziario” non ho, ce l’ho solo quando sono invasa dal fuoco creativo o cammino in qualche luogo che non conosco (vorrà dire che devo darmi al nomadismo letterario?). Ho imparato a sospendere le mie aspettative e a sorprendermi di quanto ognuno abbia da dare; a diffidare degli spauracchi se il buonsenso non fa suonare l’allarme; ad affrontare alcune paure; a non riempire mai più lo zaino di cose inutili che poi fanno solo peso sulle spalle! E a non sottovalutare la spavalderia di un coatì* quando annusa l’odore del tuo panino nell’aria…
Ho scoperto anche una passione per il trekking che non sapevo di avere, devo approfittare delle Dolomiti appena arriva il bel tempo J

Eirca a Rosario con il piede giusto
Eirca a Rosario con il piede giusto

Non ho recuperato la memoria persa rivedendo il mio paesino, ma non importa, l’ho riscoperto e, obiettivo fondamentale, mi sono assolutamente riappropriata del mio pezzo di identità mancante: non sono né del tutto italiana né in buona parte argentina, pur amando entrambe le nazioni sono una fiera migrante (senza e– e senza im-) italoargentina** con il lusso di due cittadinanze, due culture e la smania di rimettermi in viaggio per conoscerne altre.
Mi ero sempre fissata sulla questione dell’identità: come sarei adesso se fossi rimasta lì? Sarei una persona completamente diversa? Parlando davanti a un mate (e poi a parecchie birre) con la mia ex migliore amica dell’asilo (!) nel paesino dove abitavo fino a 25 anni fa, abbiamo entrambe realizzato di essere molto simili: lei si è rincuorata perché si sentiva un pesce fuor d’acqua in un ambiente così piccolo, io ho capito che l’ambiente esterno può apportare mille varianti ma quello che sei rimane sempre quello che sei, poi sta a te scegliere quanto essere fedele a te stesso.

9. Nella tua foto con il piede a Rosario, dici che il viaggio non era iniziato con il piede giusto, perché? E come hai reagito a questo contrattempo?

Il mio viaggio era iniziato a Buenos Aires con il piede sbagliato perché ero rimasta vincolata ad esigenze altrui mentre io scalpitavo per salire su un mezzo qualsiasi e vedere cose e liberarmi. Inizialmente ho reagito adattandomi alla situazione, poi mi sono ritagliata più spazi per quello che mi interessava e per le mie priorità, facendo capire che per me era importante. Comunque Rosario è stata uno stacco utile, appunto per ripartire con il “piede giusto”.

Eirca al Perito Moreno
Eirca al Perito Moreno

10. Che differenza c’è nell’affrontare una difficoltà viaggiando in compagnia e viaggiando da soli?

In compagnia si tende a lasciar agire il più scaltro a seconda della situazione, in solitaria se non sei scaltro lo diventi! Devi anche imparare a ragionare in maniera costruttiva perché gli effetti dipendono per lo più dalle cause che tu stesso smuovi; e quando le cause non dipendono da te, sta a te decidere come reagire. Per fortuna non avevo il problema della lingua (anche se quello che parlo è un ibrido ispano-veneto che tanto ha divertito gli argentini incontrati in viaggio) quindi in caso di bisogno potevo chiedere aiuto a chiunque (e visto che sono totalmente priva di senso dell’orientamento non era una possibilità remota). Certo, se mia zia non mi avesse accompagnata ogni giorno per sette giorni a parlare con tutti gli addetti di tutte le banche di Corrientes forse avrei perso le speranze, preferisco camminare 10 km sotto la pioggia che avere a che fare con sportelli e scartoffie!

11. Come ti ha accolto la tua terra?

La mia terra, nello splendore della primavera australe*, mi ha accolto con un tempo fantastico per quasi tutti i due mesi di viaggio! Certo, a Corrientes ha un po’ esagerato con i suoi 41° (mentre da Bariloche in giù c’era il riscaldamento acceso)… La natura mi ha accolto meravigliosamente, le persone mi hanno fatto sentire viva, benvoluta e con un mondo di possibilità nelle mie mani; ovunque ho trovato gente molto ospitale e tenace, la crisi economica e sociale è ancora pesante ma loro guardano avanti stringendosi intorno al calore familiare e ai piccoli piaceri della vita: mate, asado, rock nacional e fùtbol! Poi vabè, gli argentini hanno un modo di fare un po’ spiazzante a volte ma è bello così (e ho capito da dove arrivano alcuni lati del mio carattere). Basta citare il secondo sport più diffuso nel paese, dopo il calcio: non è il polo né il rugby, è il piropo, il complimento ardito da cantiere edile 🙂

Per quanto riguarda il mio paesino d’infanzia, che mi ha accolto con un vento furioso 24 ore su 24, è stato molto strano: ho parlato di politica europea bevendo mate con la mia ex maestra di prima elementare, mi sono ubriacata con alcune ex amichette e ho rivisto il mio primo amore (sempre di prima elementare) che all’epoca mi aveva respinta (questo sì me lo ricordo): vedendo com’è diventato ora, dico solo “meno male che non ha funzionato!” 😀

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