Viaggiare da soli in Burundi: un paese in costante movimento.
Longar Salvi autore del libro La mia Meta, si è avvicinato recentemente al Burundi, paese nel centro Africa che vive prevalentemente di agricoltura. Ha lavorato nella Missione delle suore Rossello di Buyengero che aiutano gli orfani di guerra e chiunque abbia bisogno. Non si muore di fame, ma muoiono per i batteri presenti nell’acqua, visto che ne hanno tantissima ma in superficie. Questa missione aveva acqua solo 3 ore per notte, lui ha trovato una sorgente e ha fatto in modo che avessero acqua potabile 24 ore su 24.
È tardo pomeriggio quando arrivo a Bujumbura, l’aeroporto è stranamente grande per una nazione così piccola, ma forse è solo come la pensiamo noi occidentali. In Africa le misure sono diverse, non vedi mai oltre il tuo campo visivo, l’orizzonte sembra ancora più lontano, ma ora alle 6,30p.m., tutto intorno è notte fonda, siamo all’equatore e non esiste un vero tramonto come non esiste una vera alba. L’aria è calda ma non propriamente umida, colpa dell’asfalto arroventato dal sole africano o clima inclemente? Patient, l’amico che ho conosciuto in Italia, mi aspetta per il visto d’ingresso. Non l’ho fatto in patria forse perché amo sempre improvvisare, o forse perché voglio capire quali sono le difficoltà in questo paese, tutto è insegnamento. Un uomo mi viene incontro”monsieur Jean-Louis Salvi?” “Oui, je sui là! “ “Venez avec moi dans la Gendarmerie.” In poco tempo mi sbrigo aiutato da 90$ americani versati al posto di Polizia Burundese, un mondo nuovo?
No tutto il mondo è paese, ho solo pagato lo scotto! Con i miei nuovi amici pernottiamo presso una casa assistita dalle suore Benedettine, domani andiamo a Cibitoke casa di Patient. Alla mattina il sole sorge presto e l’aria dell’Africa mi viene incontro mentre l’auto corre lungo la strada, un incrocio tra una vera provinciale e una militare, terra e asfalto, buchi in ogni dove ma si va avanti. Mi vengono in mente le parole di mia nonna materna, figlia di naviganti, quanto la sentivo dire “quell’uomo lavora come un negro!”, ora comprendo il vero significato della frase! Centinaia di persone si muovono a piedi o addirittura in bici con caschi di banane alti 2 metri, mucchi di erba grandi come nuvole, trafilati di ferro lunghi tre volte la bici ….. pazzesco!! Mi immedesimo nella parte, solo il colore della mia pelle è diverso. Arrivati a Cibitoke inizio a conoscere la cortesia di questo amico e del suo popolo.
Tutto il cibo viene cucinato in un vecchio ronfò a carbone, una sorta di cucina in muratura, noi la usavamo negli anni ’50! Il tempo qua sembra essersi fermato ma tutto ciò mi piace. Siamo vicini al confine con il Ruanda e Patient mi porta proprio lì, dove scorre l’acqua che bolle. Capanne di sterco e paglia sono la casa di famiglie povere che attorniate da bambini nudi, lavorano mattoni e carbone di legna. Tutti qua lavorano e i bambini rompono le pietre in pezzi sempre più piccoli per produrre la ghiaia. Il terreno scorre e ai miei occhi si presentano sorgenti sulfuree bollenti che finiscono in un affluente del Rusizi, fiume che segna il limite con il Congo. Devo salutare Patient perché con Suor Angelica mi avvio verso il cuore del Burundi, si va alla Missione di Buyengero, dove sono in costruzione locali medici e un orfanotrofio. In quel luogo mi aspetta il lavoro che mi sono prefissato, potabilizzare l’acqua della missione.
Mi ero fatto arrivare alcuni campioni in Italia, li ho fatti analizzare e ho trovato la giusta soluzione. La missione è in un paese perso tra le coltivazioni di tè, in un mondo per me completamente nuovo. Do istruzioni per mettere un “tank”, così chiamano loro la cisterna, su un piano rialzato fatto di ferro saldato, ma i loro tempi sono completamente diversi dai nostri. Penso ad una soluzione alternativa e scopro che hanno portato dalla montagna vicina una tubazione destinata all’ASENABU, l’associazione degli orfani, che passa sotto al giardino della missione. Suor Angelica di Cordoba (Argentina) e suor Angela di Bergamo, da 25 anni si lavano con le taniche che riempiono nelle sole tre ore notturne che il vecchio acquedotto fornisce. Bollono l’acqua sulla cucina economica a legna, senza sapere che in altura (siamo quasi a 2000 metri SLM) bolle ad una temperatura più bassa, senza abbattere completamente i batteri e poi la filtrano. Penso all’Italia ed a tutte le comodità che abbiamo…. se loro potessero avere almeno l’acqua sempre!!…. Cavolo è il mio mestiere devo solo pensare bene… ed ecco l’illuminazione. Coinvolgo tutta la missione faccio scavare un Tru (scavo) e trovo il tubo in materiale plastico, non credo ai miei occhi!
Corriamo sulle ali del vento con Angelica con la sua Rav4 verso Buja, al quartiere Asiatico a comprare tutto l’occorrente che ho già preparato nella mia mente. Viaggiamo tutto il giorno e torniamo la sera. La notte scorre veloce e l’alba mi trova già pronto, anche Tana mi assiste e facciamo il collegamento in modo definitivo. Tutto il giorno viene preso dall’impianto e prima di sera la Missione ha l’acqua diretta dalla sorgente, e in cucina posso alfine montare le apparecchiature che ho portato per potabilizzare, un filtro e una lampada a raggi UV. Questa sera grande festa, mi spupazzo un po’ la piccola Kelita, orfana di mamma, che ha 4 mesi di vita. Tutto gravita in missione intorno a lei e la sera finisce come ogni volta ad un tavolo a giocare a carte. Il tempo qua sembra essersi fermato ad un’ epoca per noi dimenticata. Si vive con i ritmi della natura: non ci sono telefoni, non ci sono pc, non ci sono televisioni, il ritmo della vita corre sulla strada… Nella notte i vicini ascoltano musica afro e io scrivo il mio diario come ogni notte, ma domani è sabato e lunedì 10 maggio devo prendere l’aereo a Buja, mi rimane poco tempo per immergermi ancora una volta tra la folla Burundese. Andiamo a fare un giro per le montagne intorno e se non fosse per le palme, direi di trovarmi nelle montagne Europee, solo il colore della pelle dei nativi e il profumo dell’aria mi convincono che non sto sognando e che sono ancora in terra africana.
Queste suore che hanno passato la guerra tra Tuzi e UTU, loro li chiamano elettricisti(Tuzi) e idraulici(Utu), sono così felici che non stanno nella pelle. Ora possono lavarsi quando vogliono e in cucina Terrance, il cuoco, non deve riempire catini e catinelle. Tutti sono contenti ma forse il più felice sono io, in questo viaggio ho appagato la mia voglia di conoscenza semplicemente fornendo il mio sapere per un bene superiore…ora gli orfani di Buyengero hanno l’acqua.
Sono tornato in Italia e sento già il mal d’ Africa, tornerò presto perché questo è solo l’inizio, ho ancora tanto da fare. Basta poco per fare del bene, siamo sulla buona strada e l’Africa non è mai stata vicina a noi come adesso, d’altronde è da lì che è nato tutto… stiamo solo ritornando alle origini.